31-03-2021 ore 20:30 | Rubriche - Medicina e salute
di Gloria Giavaldi

Asst Crema. Il Covid19 e il disagio giovanile: 'richieste di aiuto in aumento tra gli under 25'

“Il disagio reattivo provocato dall'isolamento sociale costituisce un'emergenza soprattutto tra i giovani under 25”. Secondo Michele Maffini, psichiatra del centro psicosociale dell'Asst di Crema, il fenomeno è diffuso per lo più “tra i ragazzi dai 18 ai 20 anni”. Il motivo è subito chiaro: “prescindere dalla socializzazione a quell'età non è possibile. Peraltro, i giovani sono stati privati per troppo tempo anche dell'unico spiraglio di normalità che era ed è la scuola”. La richiesta di aiuto proviene da “persone che non hanno familiarità per disturbi psichiatrici, né presentano particolari fattori di rischio che possano far pensare ad un loro accesso in psichiatria per motivi diversi dalla situazione di disagio provocata dalla pandemia”. Il disagio è ben distribuito: “colpisce quasi indistintamente maschi e femmine”. Sono parzialmente diverse le problematiche manifestate. “Nelle ragazze emergono disturbi di ansia, attacchi di panico, sindromi ansioso depressive più o meno sfumate. Nei maschi si aggiungono abuso di sostanze, comportamenti aggressivi e minore propensione a chiedere aiuto”. In questo quadro si inseriscono anche i disturbi alimentari “ma non come nuova insorgenza. Si tratta di persone che avevano già presentato la sintomatologia in passato e che oggi manifestano in egual modo il disagio determinato dalle limitazioni imposte a causa dell'emergenza sanitaria”. Pure i trattamenti sanitari obbligatori, 20 lo scorso anno, hanno riguardato persone già seguite dal servizio con un'età inferiore ai 24 anni.

 

Il futuro

Oggi risulta sempre più diffusa nei giovani “anche over 25” la percezione della mancanza di futuro. “È un problema che ci troviamo ad affrontare da 20 anni. É esploso con la crisi economica del 2008 e in questa situazione sicuramente si è acuito”. Tuttavia “la maggiore preoccupazione è nel breve termine, resta legata alla quotidianità”, oltre che alla visione non rosea del domani. “Quest'ultima - sembra fargli eco il primario di psichiatria Claudio Maffini - è una costante che ritrovo in persone di tutte le età”. La percezione di non essere destinati a qualcosa, di non avere uno scopo si sviluppa “a causa di un'errata esaltazione dell'idea di successo. Pare che la buona riuscita dell'esistenza si misuri esclusivamente con la realizzazione di un compito o il raggiungimento di un obiettivo”. Ciò che colpisce, soprattutto nei giovani, è la passività. “Oggi – chiarisce il primario – è più semplice rimandare qualcosa che, per ovvie ragioni, viene procrastinato per tutti o sostituirlo con altro, piuttosto che battersi per ciò in cui si crede davvero”. I giovani di oggi sono “pochi e fragili” riprende Michele. Lo si nota anche in base a come recepiscono le restrizioni: “reagiscono passivamente. Il fatto che non vi sia una reazione se non verso se stessi è preoccupante”.

 

Essere fragili

La fragilità, però, è pregressa. “Essere giovani non è una patologia, ma tra i ragazzi la fragilità è insita e questa situazione rischia di rappresentare il colpo di grazia per una generazione. Quella cui viene continuamente chiesto di restare ferma”. Immobile. In camera da letto. La stessa dove i ragazzi dormono, studiano, lavorano. “Questo continuo disinvestire sui giovani ha contributo ad un danno”. Non è solo mancanza di valorizzazione, è anche e soprattutto “mancanza di proposte valide: ad oggi, all'interno di questa situazione, non sono stati arruolati in nulla”. Così, alla tecnologia e ai social ricorrono “per rassegnazione”. Bocciato, secondo Maffini, anche il ricorso alla didattica a distanza. “Andrebbe ripensata. Così come formulata crea disuguaglianze, è stata ed è impattante”. Diverso il discorso per le università in cui “almeno per la mia esperienza, non è andata così male” ammette il collega Secondo Cogrossi.

 

Vicini a distanza

Il Covid ha fatto a pezzi le abitudini di ciascuno. “Ha fatto capire che non sono una certezza” spiega Claudio Maffini e che “noi tutti siamo fragili”. La pandemia “ha favorito una presa d'atto della fragilità, facendone emergere il lato negativo: quello dell'abbandono” riprende Cogrossi. È venuto meno il supporto di rete tra famiglia, società civile ed istituzioni. “Tutti i modelli di sostegno fondati sulla prossimità sono andati in crisi” precisa Maffini, che aggiunge: “la relazione resta il baluardo del nostro lavoro, anche se per alimentarla oggi dobbiamo fare affidamento su modalità e mezzi diversi, inusuali”. Il distanziamento ha ostacolato l'umanizzazione delle cure “ribaltando il paradigma che aveva attecchito da più di 20 anni”. Non resta che reinventarsi. Per continuare uniti. Anche se lontani.

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