Il prossimo 9 maggio alle ore 21 il teatro San Domenico di Crema proporrà "Alla ricerca dell'Uomo Ragno", lo spettacolo che segna il ritorno alla ribalta di Mauro Repetto, l'altro 883 o meglio uno dei due componenti del gruppo, da sempre coautori delle più belle canzoni, che hanno conquistato intere generazioni di giovani. Relegato nel ruolo di danzatore surreale alle spalle di Max Pezzali per volere del manager Claudio Cecchetto, dopo lo scioglimento del gruppo e dopo trent’anni di significative esperienze di vita e professionali, il musicista torna sulla scena musicale e lo fa con uno spettacolo che incuriosisce ed è anche l'occasione per un’intervista, tra passato, presente e futuro.
Mauro, sei nato nel 1968, hai frequentato il liceo scientifico a Pavia, dove hai conosciuto Max Pezzali. Cosa hai amato di quei mitici anni 80 da liceale?
“La nostra è una generazione che ha avuto la fortuna di avere una nonna, una radice forte che ha impedito forse di fare grosse cavolate. Poi c'erano la compagnia, la piazza, il bar, l'oratorio e anche l'ovatta di provincia: con lo sport, gli amici e la famiglia potevi vivere bene. Eravamo giovani, che stavano bene in questo ambiente ovattato, ma che volevano anche andarsene”.
Quale musica ascoltavi allora?
“Whitney Houston e Jon Bon Jovi sono stati i miei eroi, poi crescendo ascoltavo anche Renato Zero e Claudio Baglioni, che mi piaceva di brutto”. Mauro è affabile, racconta con disinvoltura aneddoti di vita vissuta. Ha un modo di esprimersi da adolescente ottimista: si entusiasma, si diverte e mette a proprio agio chi dialoga con lui.
Se si cerca il tuo nome nel web la prima definizione che viene proposta è "paroliere italiano". Ti identifica?
“Il processo di scrittura di due ragazzi di Pavia, che sia chiamavano Max e Mauro era molto particolare. Non abbiamo mai veramente lavorato, passavamo il pomeriggio assieme, era un botta e risposta, un'alzata e una schiacciata, uno lanciava una frase e l'altro gliela rilanciava indietro migliore, con l'effetto, se utilizziamo la metafora della palla da tennis. Nei testi raccontavamo quello che era successo il giorno prima al bar, era un passare il pomeriggio insieme dalle quattordici alle venti, immersi nella nebbia o nella canicola di Pavia a seconda della stagione. Paroliere è un termine professionale, mentre Max ed io non lo eravamo affatto, per noi era un divertimento, non un lavoro”.
Parliamo di coordinate geografiche: hai vissuto in Italia tra Genova e Pavia, negli Stati Uniti a Miami, New York e Los Angeles, in Francia a Parigi, dove risiedi attualmente con tua moglie e i tuoi figli. Cosa ti ha spinto in questi luoghi?
“Quando abitavo a Pavia ero attirato da Milano, poi da Roma e poi dall'America e dall'Europa. La metropoli è la voglia di stare insieme, di vivere con altre persone, è la vibrazione particolare di certe città. Le donne di certe città mi hanno sempre incuriosito, come se fossero particolari. Questa è una curiosità che ho sempre cercato di soddisfare”.
Nel 2023 la casa editrice Mondadori ha pubblicato il tuo libro autobiografico "Non ho ucciso l'Uomo Ragno. Gli 883 e la ricerca della felicità", scritto con Massimo Cotto. La stai ancora cercando o l'hai trovata questa felicità?
“Si cerca quello che non si sa nemmeno cos'è. E' vero che non si può definire la felicità: è una vibrazione, è una frequenza, non la raggiungi mai e non sai nemmeno che forma abbia. Io la cerco sempre”.
L'Uomo Ragno, morto o redivivo, è una figura dalla quale non puoi prescindere. Avete caratteristiche comuni oppure non lo sopporti più?
“No, no, abbiamo caratteristiche comuni, assolutamente. Lui è il paladino della giustizia, agisce d'istinto. Peter Parker potrebbe tranquillamente vivere a Pavia, è un supereroe di quartiere, quindi chiaramente siamo molto simili per certi versi”.
Puoi darci qualche anticipazione sul tuo spettacolo?
“Sarà una scorpacciata di canzoni degli 883, di autoironia e voglia di sorridere delle peripezie affrontate da due menestrelli e dalle vampire pavesi, che li accompagnano, per dare una cassetta al conte Cecchetto, facendosi aiutare da certi giullari delle sua corte, come il cavalier Fiorello e Lorenzo il Giovane detto Jovanotti. Ho dato spazio ad una volontà disneyana di raccontare una storia universale, in cui i protagonisti potrebbero essere inglesi, americani o due pastori erranti nell'Asia. C'è un'ambientazione un po' dark, un po' gotica per creare un'atmosfera fiabesca”.
Tutti ti vogliono intervistare. C'è qualcosa che nessuno ti ha ancora chiesto e che tu vorresti dire?
“Sì, una domanda semplice: vuoi ancora bene a Max come quando eravate compagni di banco? E la risposta è sì”.