Alcol o cocaina. Inizia come un gioco, un passatempo, oppure come risposta ad un profondo dolore. Ognuno è convinto di esserne immune, di poterlo controllare. Improvvisamente si diventa “quasi come un automa”, “non riesci ad avere stimoli”, finisci per accorgerti che “in te non c’è più niente di nuovo”. Accettare la propria condizione e saper superare le difficoltà sono tappe di un percorso di conoscenza e trasformazione. Nell’ambito di Vivere ancora, il progetto di Cremaonline e del Centro di ricerca Galmozzi dedicato a registrare le situazioni di fragilità personali e collettive nel territorio cremasco, abbiamo visitato gli appartamenti di Rivolta d’Adda e incontrato gli utenti e gli operatori.
Le risorse interiori
Come spiega il direttore dell’unità operativa di riabilitazione dalle dipendenze, Paolo Marzorati, gli appartamenti sono una fase molto importante del trattamento. Hanno una durata limitata: da pochi mesi fino ad un massimo di un anno e mezzo. Dopo di loro ci sono i gruppi di incontro con le famiglie delle persone con dipendenza. Consentono di far leva sulle “risorse di cambiamento”, di “sviluppare autonomia, responsabilità e una dimensione creativa”, evitando di entrare “in una cronicità del disturbo”. È rivolto a persone che abbiano già effettuato “uno step intensivo in reparto”. Vivere negli appartamenti “aiuta le persone ad imparare di nuovo a gestire la propria vita”. Lo strumento utilizzato sprigiona un grande potere: “la condivisione”. E la cena serale diviene un momento di formazione: “educa al confronto e permette di ritrovare l’intimità”, quell’intimità che spesso in una famiglia viene a mancare.
Il confronto
Il periodo del Covid ha acuito una caratteristica delle sostanze: “isolare le persone. Danno calore dove il calore non c’è”. E nel periodo della pandemia hanno “colpito le persone che, in quella condizione, hanno avuto molto freddo”. Sarah Carfì ci ricorda che “ciascuno porta con sé la propria storia”, ma il continuo confronto con gli altri favorisce l’arricchimento. Si impara a non cercare soddisfazione immediata, ma a dare il giusto spazio a tutte le situazioni, a rallentare, a prendersi cura di se stessi, ad accogliere e dialogare con gli altri. Se il reparto è il primo passo, spiega Giuseppe Parisi, gli appartamenti permettono anche “di coccolare le fragilità”. E giorno dopo giorno, di modificare il proprio atteggiamento. Di costruire certezze, sperimentando un’autonomia e una responsabilità che parevano impossibili.
Il sogno e le regole
Entrando e uscendo dagli appartamente si incontra una lavagna. Ci sono parole scritte con un gesso bianco. Una frase di Rita Levi Montalcini: “non temete i momenti difficili, il meglio viene da lì”. In un percorso che si fa improvvisamente buio le regole cessano di essere limitanti e divengono appigli. Eccone alcune, da seguire ogni giorno: “ridere spesso, fare ciò che si ama, circondarsi di buoni amici, urlare piano, perdonare, baciare, mantenere le promesse, pulire scarpe e zampe di entrare”. Soprattutto “credere nei sogni”. Quelli custoditi nel profondo, dove spesso vengono nascosti per la paura del giudizio o perché si teme che qualcuno possa portarceli via. Per riprendere in mano la propria vita c'è soprattutto bisogno di quelli.