26-07-2024 ore 18:32 | Rubriche - Fatto di ambiente
di Alvaro Dellera

Un fatto d'ambiente. 'Qualcuno volò sul nido del cannareccione', il colpevole è il cuculo

“Qualcuno volò sul nido del cannareccione“, potrebbe essere il titolo per il sequel di un famoso film dove la metafora sociale de ”qualcuno volò sul nido del cuculo” lascia spazio alla realtà. Sono proprio loro, i cannareccioni (acrocephalus arundinaceus) i cui nidi individuati all’interno dei canneti sono non di rado occupati da una specie ornitologica fortemente opportunista come il cuculo (cuculus canorus). Il cuculo trova molto comodo il nido dei cannareccioni, la cui forma a coppa ampia e ben foderata ospita le proprie uova dalla schiusa fino all’involo dei piccoli cuculi, costantemente accuditi ed alimentati dalle coppie di cannareccioni ignare dell’inganno.

 

 

Il cannareccione

Il cannareccione è un tipico passeriforme insettivoro del canneto, le cui dimensioni sono maggiori rispetto alle consimili cannaiole. Raggiungendo i trenta grammi di peso e i venti centimetri di lunghezza entrambe le specie sono migratrici sub sahariane. In Italia il cannareccione è un migratore regolare dalla primavera fino alla tarda estate ed occupa un vasto areale di nidificazione ma molto frammentato presente quasi esclusivamente in ambienti palustri e lacustri a fragmiteto (phragmites australis).

 

 

Una specie in scomparsa

La forte diminuzione dei luoghi di nidificazione del nord Italia lo rende una specie sempre più vulnerabile . Nel cremasco, fino ad una ventennio ed oltre fa, era ben presente dentro i piccoli canneti rivieraschi dell’Adda e del Serio, in località come la lanca di Cavenago e la riserva del Menascutto, nelle lanche di Azzanello, lungo la palude della luna, come ai lati di alcune cave dismesse e rinaturalizzate. Ora la sua presenza è rarefatta se non scomparsa da questi luoghi. Era più facile sentire il loro caratteristico e persistente gracchiare che osservarli. Oggi la scomparsa dei canneti soppiantati da una vegetazione indigena, l’interramento delle paludi ed i cambiamenti climatici che determinano la scarsità di precipitazioni primaverili, stanno incidendo pesantemente sulla loro rarefazione. Solo alcune aree lacustri, torbiere e i delta di fiumi importanti ancora proteggono coppie di questa specie poco appariscente ma decisamente interessanti.

 

 

La costruzione del nido

Caratteristico è il modo con cui, risalendo con agilità la canna palustre fino alla cima, poggiando le zampe in progressione riescono contemporaneamente anche ad emettere a lungo il caratteristico e forte richiamo che si contrappone ad altri richiami della stessa specie in competizione per occupare il territorio più ambito per la nidificazione. La costruzione del nido è una vera opera d’arte confezionata in pochi giorni dalla sola femmina. Una coppa di steli ed erbe intrecciate soffice e profonda, legata a tre o quattro steli alle canne poco sopra il livello dell’acqua. Sempre ben celato fra la vegetazione il cannareccione ha un breve e basso volo con la coda ben allargata, più facile osservarlo in cima alle canne all’ombra delle lanose infiorescenze del phragmites australis.

 

 

La protezione dell’esemplare

Fortunatamente il livello di protezione della specie è molto alto nei confronti della quale sono richiesti accordi internazionali per la sua conservazione e gestione (convenzione di Bonn); rigorosamente protetta, (convenzione di Berna), (legge nazionale 11 febbraio 1992, n. 157). Tutto ciò fa ben sperare anche in attesa di un suo gradito ritorno nei nostri territori purché gli ambienti idonei si siano nuovamente ricoperti di vegetazione palustre e mantenuti sufficientemente allagati. Un impegno importante che i parchi fluviali regionali dovrebbero assumere come obiettivo all’interno della loro mission istituzionale. 

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