25-04-2021 ore 19:28 | Rubriche - Medicina e salute
di Gloria Giavaldi

Chiara e Giulia: 'formazione ed empatia, così l'infermiere si prende cura delle persone'

“La situazione d'emergenza sanitaria ha richiesto il contributo di tutti. Per aiutare le persone, per aiutare il nostro territorio”. Per un soccorritore volontario aiutare è una vocazione, “ma questa emergenza mi ha fatto capire che dovevo e volevo fare di più. E per fare di più bisogna studiare”. Giulia Silvana Venturini siede dall'altro lato della stanza. Nella sede cremasca dell'Università degli studi di Milano le lezioni del corso di laurea di infermieristica sono riprese . Archiviato il primo semestre, è tempo di continuare a camminare per chiudere l'anno. “Ho 26 anni, ho sempre voluto fare l'infermiera, ma mi sono sempre lasciata fermare dalla paura”. Di non farcela, di non essere abbastanza, di tradire le aspettative che ha sempre riposto nei riguardi del ruolo. “Ho sempre percepito la professione infermieristica come qualcosa di importante. Mi ha sempre fermata il timore di non riuscire a rapportarmi con le persone”. Poi è arrivato il Covid, con la divisa addosso “ho fatto del mio meglio per stare accanto ai malati, ma mi sembrava non fare abbastanza. Mi sono sentita impotente, quindi ho deciso di mettermi a studiare”.

 

Il coraggio di chiedere aiuto

Il modo di aiutare tipico di un infermiere è diverso, peculiare, denso di umanità e conoscenza. “E' unico”. Chiara Galli di anni ne ha 21: “fare l'infermiera è sempre stato il mio sogno perché ho sempre desiderato cercare di aiutare una persona in modo diretto, starle vicino, assisterla, anteponendo le sue esigenze alle mie”. Chiara deve ancora iniziare il tirocinio, ma le linee guida da seguire sono già stampate nella mente: “devo aiutare una persona che ha riconosciuto di aver bisogno di sostegno. Oggi a chiedere aiuto ci vuole coraggio. Solo per questo, al di là delle esigenze prettamente di carattere medico, merita la mia attenzione. Merita di stare al centro”. Poi “le conoscenze tecniche e la specializzazione ci consentono di offrire un supporto qualificato: l'infermiere non lo può fare chiunque”.

 

'In gioco c'è la vita'

Anche il percorso di studi lo dimostra. “La formazione teorica – precisano le due – è anteposta a qualsiasi applicazione pratica”. Lezioni in aula, attività laboratoriali ed infine il tirocinio, servono a “formare un profilo professionale in cui la responsabilità è alle stelle: in gioco c'è la salute e la vita delle persone”. Il tono di voce di Chiara tradisce un po' d'emozione: “ avverto la responsabilità sulle spalle, ma non rappresenta un peso: sarà solo un motivo per fare sempre il massimo, non per me, ma per gli altri”. I timori, al pari delle domande e delle perplessità sono condivise con i docenti: “il confronto è costante, credo questo sia tanto indispensabile, quanto non scontato”. Insegnano ad essere, prima che a fare. Del resto – interviene Giulia - “ prima di tutto, è importante essere un infermiere”, ossia “ascoltare, anche in silenzio se necessario, tranquillizzare senza pretendere l'immediata tranquillità, non giudicare”.

 

'Non siamo eroi, siamo umani'

Spesso sono proprio i pregiudizi che fregano, quelli che impediscono di essere “buone infermiere”. “In un percorso assistenziale il minimo errore pesa, perché una persona sofferente lo ricorderà per sempre. È questo il motivo che ci spinge a fare sempre meglio”. Anche per dimostrare che quello della professione infermieristica è mondo affascinante e complesso, che richiede studio, passione ed umanità. “Oggi la nostra professione è ancora sminuita, incompresa. Speriamo che la situazione tra qualche anno sia migliore. Stiamo ancora studiando ed abbiamo ancora del tempo davanti, ma speriamo che in futuro le persone possano capire che non siamo eroi, siamo umani. Vogliamo aiutare ed essere riconosciuti”.

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