“Non è una malattia terribile, oggi il morbo di Parkinson si può curare. Ci sono tante possibilità farmacologiche e non. Non devono mai mancare la volontà, la forza e la fiducia dei pazienti. Con il Parkinson si può convivere, si deve convivere, la vita vale di più”. Rosina Paletta, referente dell'ambulatorio dedicato all'Asst di Crema non vuole “lanciare un messaggio di speranza”, ma raccontare le cose come stanno pochi giorni prima della Giornata nazionale, in programma il prossimo 27 novembre. L'ospedale tratterà approfonditamente il tema in un convegno dal titolo Arteterapia e malattia di Parkinson: potenzialità future: si terrà lunedì 29 novembre alle ore 15 in sala Polenghi. È necessaria la prenotazione inviando una mail a [email protected]. Green pass obbligatorio.
'Prime spie'
“La malattia di Parkinson - spiega Paletta - è una malattia neurodegenerativa che colpisce primariamente la sostanza nera del tronco encefalico e determina una mancanza di dopamina”. Scoperta da James Parkinson nel 1817, è stata poi clinicamente descritta da Jean Martin Charcot. Secondo i dati rilasciati dall'Associazione italiana parkinsoniani oggi colpisce 400 mila persone sul territorio nazionale “per lo più tra i 50 e i 60 anni, ma si può registrare anche nei più giovani: in questo caso si parla più precisamente di Parkinson giovanile”. Determina “alterazioni nella sfera motoria (tremore, rigidità, lentezza motoria) e disfunzioni non motorie. Queste ultime, spesso misconosciute, sono in realtà di fondamentale importanza perché possono manifestarsi molti anni prima di quelle motorie. Possono essere le prime spie”. Si tratta di “disturbi del sonno, depressione o altri disturbi dell'umore, disturbi gastrointestinali, riduzione dell'olfatto”. La patologia è evolutiva: “le terapie agiscono sui sintomi”. É utile costruire “attorno alla persona una rete di sostegno: la famiglia gioca un ruolo rilevante sia per aiutare il paziente dal punto di vista motorio, sia per fornirgli un adeguato supporto emotivo”. In giovane età “l'accettazione della patologia è più complessa, soprattutto valutata la condizione di disabilità ed il tempo più lungo con cui si dovrà convivere con essa”.
L'arte fa bene
Il Parkinson è una malattia idiopatica, di cui non si conosce la causa. “A Crema valutiamo anche pazienti con parkinsonismi, ossia malattie affini per alcune delle quali la causa è nota”. Accanto alle terapie farmacologiche, giocano un ruolo rilevante la riabilitazione ed il ricorso a metodi non convenzionali, come l'arteterapia. “Il movimento nelle persone con il Parkinson è importante: si parte della mente, ma si deve arrivare anche alla periferia”. La presa in carico guarda alla globalità della persona. In questa direzione va il progetto di arteterapia. “L'arte era utilizzata già ai tempi di Pitagora: accanto alle formule matematiche, elaborava formule di melodia per aiutare l'armonia del corpo e della mente”. Ancor prima i benefici della musicoterapia “risultavano già da alcuni antichi testi cinesi. Oggi possiamo dire con certezza che l'arteterapia porta dei benefici alle persone con patologie di carattere neurologico. Vi sono delle evidenze scientificamente provate. La risonanza magnetica funzionale fa capire che la pratica artistica (che include l'arte in senso stretto, ma anche la musica ed il teatro) aiuta i pazienti tramite la plasticità neuronale, una specie di neurogenesi”. Durante la pratica “i neuroni si riformano e così aumenta la materia grigia”. Ciò avviene sicuramente dall'infanzia e poi nell'età evolutiva, “ma è ancor più interessante come questo avvenga quando si verifica un danno cerebrale: questa plasticità va a sopperire all'area mancante”.
Coltivare abilità
La malattia di Parkinson compromette le abilità visuo- spaziali, ossia quelle con cui la mente riesce a percepire lo spazio circostante non attraverso formule, ad esempio costruire un puzzle, copiare un disegno, camminare. “L'arteterapia obbliga a coltivare queste abilità, necessita di orientamento e coordinazione visiva: non è solo bellezza. Anche se la bellezza di per sé è importante”. Inoltre “favorisce l'autostima, migliora l'attenzione sull'attività ed aiuta la distrazione dalla malattia. Non è importante il prodotto, ma il percorso di creatività e di miglioramento dal punto di vista emotivo”. Insomma, lo dice anche la scienza: l'arte è per tutti. “E' pure un'occasione, al pari delle attività sportive fondamentali per le persone malate di Parkison, per fare gruppo e combattere l'isolamento. Talvolta il paziente vive con un senso di vergogna il limite motorio od il tremore, soprattutto se questi sintomi compaiono in giovane età. Invece, è importante non fermarsi: fare sport mira allo stesso obiettivo della riabilitazione fisioterapica, ma è più divertente. E le opportunità sono diverse: si passa dalla boxe senza contatto, alla danza, allo yoga, alla bicicletta”. L'importante è non fermarsi, appunto.