21-02-2025 ore 08:17 | Rubriche - Crema
di redazione

La pandemia da Covid-19 arriva a Crema: cinque anni dopo, il ricordo di Stefania Bonaldi

A cinque anni di distanza, Stefania Bonaldi ricorda uno dei momenti più significativi della pandemia. “Ragazzi, in ospedale stanno arrivando un sacco di malati dal Lodigiano, per me sono tutti casi di Covid-19. Stefi, senti la direzione sanitaria, bisogna fare qualcosa, subito”. Con questo vocale di Attilio Galmozzi, allora assessore e medico presso il pronto soccorso, nella mattina di venerdì 21 febbraio 2020 facevamo ufficialmente ingresso in due anni incredibili che ci hanno scavato nel profondo, settecento giorni che hanno cambiato in modo irreversibile la percezione della vita, delle priorità, del mondo che ci circonda”.

 

Ospedale al collasso

“Una storia che, pure nella fatica e nella sofferenza, ho avuto il privilegio di vivere da sindaca. Ho sofferto con la mia comunità, come ogni altro ho avuto paura, ho provato smarrimento, ho contato i malati e pianto i morti, come mai, mai mi sarei immaginata potesse accadere, ho invocato l’attenzione degli enti superiori quando il virus ci prendeva d’assalto e altrove si pensava fosse poco più di un’influenza, ho chiesto aiuto quando l’ospedale di Crema − dopo la resistenza eroica a un vero e proprio assedio, dovremmo ricordarlo ogni giorno, ancora oggi − mostrava di essere al collasso”.

 

Zona rossa

“Giorni drammatici, che hanno visto la nostra gente colpita per prima e in modo violento, al punto che non abbiamo avuto nemmeno il tempo di prepararci e di piangere i nostri morti; poche ore dopo Codogno, quel Venerdì 21 febbraio di cinque anni fa, il virus è arrivato qui, quel maledetto venerdì l’ospedale era già in allarme, nella tarda mattinata in Comune già mandavamo a casa tutti i collaboratori che abitavano in quella che poi sarebbe stata delimitata come “zona rossa”, il pomeriggio andammo in Prefettura per cercare di raccapezzarci, il sabato assunsi un’ordinanza per chiudere i nidi (il resto delle scuole era già chiuso per Carnevale) e per sospendere la sfilata dei carri nella sua domenica clou, di mia iniziativa, perché le autorità sanitarie superiori erano perplesse. “È all’aperto e non parliamo di una pandemia, dottoressa”, mi era stato detto il venerdì, ma io non ero tranquilla”.

 

Dolore vivo

“Ancora oggi non riesco a pensare a quei giorni, a quelle settimane, a quei mesi, senza piangere, senza sentire ancora, nella carne un dolore vivo, profondo, infinito, ricordando i nostri morti senza funerale, la paura, il senso di impotenza, l'angoscia che ci attanagliavano il cuore. Quanta sofferenza, la nostra comunità, che in tutto quel dolore ha saputo però trovare in sé anticorpi di solidarietà, di fratellanza, di umanità e aggrapparsi, in quella inimmaginabile, drammatica via crucis, a risposte di aiuto e di conforto inattese e sorprendenti, che ci hanno toccato il cuore”.

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