Potevamo esimerci? Oggi è il 20 ottobre 2023, sapete cosa significhi nella storia del rock, giusto? Quindi andiamo al punto. Lasceremo una traccia, una testimonianza, nulla in confronto a quello che ascolteremo, che invece resterà nel tempo come questa band mai doma. Perché il vinile di inediti in oggetto mi è piaciuto, si capisce. Ero incerto, con A Bigger Bang mi ero scottato, aspettative e delusioni, un album che non aveva un perché.
Il ritorno di fiamma
Dopo di che mi dicevo, stamani: dopo diciotto anni, che dici, gliela diamo un’altra possibilità? Magari sono cresciuti… Va be’, non scivoliamo sull’anagrafica che è troppo banale con loro. È poi accaduto che io stia vivendo un revival dei long playing e che nella fase del “ritorno di fiamma” non ne avessi ancora acquistato uno nuovo. Ero in via XX Settembre, entro in un negozio specializzato, chiedo se c’è, ne vedo ben due versioni (una nera e una viola, prendo la prima), e poi a casa scarto e ascolto. Angry è come appare, ma ascoltata e non vista fa più scena, secondo me: orecchiabile e ruvida ti prende facile, magari è uno specchietto. Macché, Get Close ti spiattella un drumming che scansati e che la buonanima di Watts avrebbe anche forse affrontato in altro modo, ma non così come il nuovo Jordan, va detto. Mi sa che ci sarà un futuro per questo ragazzo.
Puro rock 'n' roll
Bite My Head Off è puro rock 'n' roll, con tutto quello che possiamo aspettarci, Mick sporca la voce che svolazza nei finali di alcuni versi, e ci si commuove un po’, damn (tralascio il fatto che al basso ci sia Mc Cartney, l’hanno già detto tutti). E poi comincia il Side B. Cercherò di fare sintesi. Tanto per cominciare, nei primi due brani della facciata sentiamo il tocco vero di Watts, che ha più presa in Live By The Sword, dove segue le dinamiche del brano dovute agli esercizi di Richards e Wood che non inventano nulla perché più di così non esiste (qui poi ci sono anche Wyman ed Elton, ma non sono loro a fare la differenza).
Rolling stone blues
La seconda parte della seconda parte del disco comincia con la voce di Richards in Tell My Straight, brano non memorabile ma d’atmosfera roca come il timbro di Keith, meno male che ho smesso di fumare vent’anni fa, lui da un po’ meno. Poi arriva la lunga Sweet Sounds Of Heaven e qui vorrei che queste righe suonassero per significarvi lo spessore: un tappeto potente tessuto da tante suggestioni, dal gospel al rock, e vocali evocativi che sembrano Lady Gaga, anzi lo sono. Brano epico, col tocco finale del piano di Wonder e i gorgheggi di Jagger e della vocalist, e i fiati perfetti. Il disco finisce con Rolling Stone Blues, bassa fedeltà che ti porta giù dove sai che tutto è nato, dura poco ma è quello che ti serve per sentire la mancanza e riaccendere il giradischi, cosa che ho già fatto almeno un paio di volte. Gli Stones possono fare gli Stones quanto gli pare, anche per sempre, e a noi piace.