20-02-2024 ore 15:02 | Rubriche - Gli umani, la natura e la salute
di Romano Demicheli

Gli umani, la salute e la natura: da nomadi a sedentari, gli effetti della rivoluzione agricola

La lunga consuetudine dei cacciatori-raccoglitori cominciò a modificarsi, in diverse aree del pianeta, quando, tra 20000 e 6000 anni fa circa, i nostri progenitori iniziarono a praticare attività agricole. Per quanto ci riguarda direttamente, nel periodo che va da 11000 a 8000 anni a.C., nella così detta Mezzaluna fertile (corrispondente agli odierni Iraq, Iran, Palestina, Siria e Turchia), cominciarono ad essere coltivati grano, orzo, lenticchie e piselli. Per citare altre zone, in Cina miglio e riso venivano raccolti già intorno al 7500 a.C. e, nell’America centrale e andina, mais, fagioli e patate furono coltivati a partire da 6000 a.C. circa.

 

La proprietà privata

Molti umani passarono dal nomadismo, determinato dalla ricerca di sempre nuove aree ricche di risorse, alla sedentarietà. Nacquero così i primi insediamenti permanenti e, con il passare dei secoli, le prime città. Inoltre, la quantità di cibo a disposizione crebbe, per cui alcuni poterono dedicarsi a tempo pieno ad altri mestieri, come la fabbricazione di vasellame e utensili, evitando la ricerca del cibo. La divisione del lavoro, inizialmente non netta, gradualmente divenne stabile, accrebbe la complessità sociale (contadini, artigiani, soldati). Inoltre, con la produzione di beni in eccesso, rispetto al consumo dei singoli produttori, divenne più frequente il loro scambio, con importanti conseguenze, come la nascita della proprietà privata e del valore di scambio, che progressivamente soppiantò il valore d’uso.


Ostili relazioni

La questione del potere e della ricchezza di singole persone o di interi gruppi sociali divenne dominante all’interno degli insediamenti e tra gli insediamenti. Iniziava così un nuovo corso di relazioni ostili che avrebbe segnato, con le sue conseguenze drammatiche e dolorose (contrasti e guerre), la storia umana fino ai giorni nostri. Occorre notare che si tratta di espressioni culturali e non di leggi naturali, e che, lungi da essere risolutive delle questioni relazionali tra umani o gruppi di essi, non si sono mai dimostrate efficaci. Anzi, lo scontro violento aggiungeva, invariabilmente, problemi ulteriori a quelli che ci si illudeva di poter risolvere. Sebbene l’agricoltura abbia rappresentato una grande evoluzione delle modalità di vita degli umani, non tutti i suoi effetti furono positivi per la loro salute ed il loro benessere.

 

Lungo periodo di epidemie

Essa, infatti, provocò la diffusione di nuove malattie infettive, derivate dal contatto più stretto con gli animali, che consentì a virus e batteri diffusi tra i secondi di effettuare il salto di specie, ad esempio vaiolo e morbillo. Inoltre, il cambiamento alimentare comportò modalità nutrizionali meno varie e meno ricche di proteine rispetto a quelle derivanti da caccia e raccolta, con un aumento della mortalità infantile e una riduzione dell’aspettativa di vita. Oltre a ciò, l’estendersi degli agglomerati attraverso la formazione di villaggi e città fu associato ad un aumento dei contatti interpersonali e ad un peggioramento delle condizioni igieniche dell’ambiente di vita. Questo fatto aumentò sensibilmente le possibilità di contagio e la diffusione delle malattie infettive, inaugurando un lungo periodo di epidemie durato fino al secolo scorso. Infine, la vita agricola comportava un notevole incremento del tempo e della gravosità del lavoro, a scapito di tutte le attività precedenti di riposo e svago, atte al recupero delle condizioni ottimali di vita.

 

Diffusione delle malattie

Le scarse conoscenze delle nuove patologie e delle loro vie di diffusione impedì per lungo tempo di sfuggirvi, e la storia è costellata di episodi di pestilenze dalle conseguenze terrificanti. La cosiddetta peste di Giustiniano, che scoppiò nel 541 d.C. a Costantinopoli, causò la morte di circa il 40 per cento della popolazione della capitale bizantina e, propagatasi per tutta l’area mediterranea per due secoli circa, uccise un numero di persone stimato tra i 50 e i 100 milioni. La peste nera del XIV secolo, originatasi nell’altopiano della Mongolia, attraversò la Cina, la Siria, la Turchia per poi raggiungere l’Europa dove infettò tutte le nazioni. Secondo studi moderni, la peste nera uccise almeno un terzo della popolazione del continente, provocando verosimilmente oltre 20 milioni di vittime. La pandemia di Covid, che abbiamo recentemente conosciuto, dà una pallida idea dell’impatto sulla vita sociale delle pestilenze del passato. Inoltre, ha mostrato come l’isolamento e la quarantena, emerse nel tempo come mezzo di parziale controllo della diffusione delle malattie contagiose, restino tuttora un valido ingrediente contro le diffusioni epidemiche.

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