“Anche la vita nella Rsa è vita. È il luogo in cui una persona trasferisce tutto ciò che è stato prima”. E tutti quelli che ci vivono o ci lavorano, “ne divengono parte. E se ne devono prendere cura”. Ultimamente "sono sempre di più le persone che hanno bisogno di sostegno, fisico e psicologico", che hanno bisogno di vicinanza e supporto. Gli ospiti “colgono tanto dell’affetto dei parenti”, delle persone che vengono a trovarli. “Soprattutto se li rendono partecipi di ciò che accade all’esterno”. E dopo una giornata intensa, vissuta appieno, quando è ora di spegnere la luce e mettersi a dormire, “sono felici”. Del resto, come direbbe George Sand, “c’è una sola felicità nella vita: amare ed essere amati”.
Vivere ancora
Certo, anche all’interno delle residenze sanitarie si può “vivere ancora e farlo in modo anche più pieno di chi magari è fuori dalla struttura e non può contare su affetto, sostegno e cura”. In questo servizio, il montaggio è a cura di David Donesana, abbiamo avuto la possibilità di visitare la fondazione Brunenghi di Castelleone. Abbiamo incontrato e intervistato ospiti, operatori e familiari per il progetto di documentazione delle fragilità del territorio cremasco, realizzato da Cremaonline in collaborazione col centro ricerca Alfredo Galmozzi.
La guerra
Viviamo di riflesso la guerra. Si trovi in Ucraina, in Siria e in Africa, viene colta con l’eco. Sono argomenti che ci giungono “da una grande distanza”. Lo facciamo un po’ distrattamente e con un sentimento crescente di fastidio: come se non ci appartenesse, non dovesse permettersi di distoglierci dalle nostre occupazioni quotidiane. Alla Brunenghi abbiamo incontrato persone che hanno vissuto in prima persona la guerra, come Serafina o Giuseppe, che frequentava l’asilo e ricorda che la mamma lo prendeva in braccio e scappava in campagna a nascondersi. Abitava a Bagnolo Cremasco. E finiti i bombardamenti, se era a scuola e i bambini scappavano da tutte le parti, facevano il giro per controllare che ci fossero ancora tutti.
La pandemia
Sembra passato un secolo, in realtà tutti ne portiamo i segni. Cristina non ha dubbi: “la pandemia ci ha cambiato. Ci ha fatto riflettere sulla qualità della vita, su cos’era prima e cos’è dopo”. Ci domandavamo: “finirà? Quando? E come sarà la vita? Qual è la normalità? Quella di prima? Quella di adesso?”. Durante la pandemia “tutti si sono impegnati”. Gli ospiti “si sono stretti ancora di più” agli operatori e al personale. In fondo, possiamo riassumerla con queste parole: “abbiamo capito quanto è importante la famiglia”.
A casa o in Rsa
A Nadia abbiamo posto le domande che tutti ci facciamo. Abbiamo messo in fila i dubbi, i sensi di colpa, i timori. Ci ha spiegato che “a casa non saremmo in grado di offrire la stessa assistenza. Ogni semplice visita richiede dei tempi improponibili, spesso capita che sia necessario chiamare l’ambulanza; qui c’è sempre un medico che tiene monitorata la situazione e assicura una continuità assistenziale. Ora ho più tempo, riesco a seguirla meglio, anche se è ricoverata”. Perché la residenza sanitaria è il luogo in cui gli ospiti trasferiscono tutta la propria vita. Dall’amore per i cavalli alla danza, dai sogni alle esperienze di tutta un’esistenza. E anche all’interno della rsa, la vita è vita. E ciascuno di noi, nel suo piccolo, può fare molto per renderla speciale.