Grazie alla qualità della musica e degli interpreti, ieri sera il teatro lirico Giorgio Gaber di Milano ha ospitato un concerto di strepitosa fattura. Romantica, intima e fantasiosa, ricca di umorismo e intelligenza anche senza i travestimenti cui all'epoca aveva abituato un genio come Peter Gabriel. Sul palco un ragazzino di 72 anni: Steve Hackett, accompagnato alle tastiere da Roger King, alla batteria da Craig Blundell, al sax e flauto da Rob Townsend, al basso e chitarra da Jonas Reingold. Cantante Nad Sylvan.
Evoluzione continua
Aperta da Ace of Wands (asso di bastoni), la prima parte della serata si chiude col pubblico messo in grande difficoltà dai dodici minuti dell’epica Shadow of the Hierophant (all’ombra dello Ierofante, la guida nel culto misterico di Eleusi). Restar fermi in poltrona senza abbandonare le miserie quotidiane e lasciarsi trascinare da questo percorso iniziatico progressive è una tortura alla quale praticamente nessuno è stato in grado di resistere. Del resto, parlando di arcani minori e tarocchi, nell’asso di bastoni una mano spunta da una nuvola e impugna una bacchetta che germoglia, come volesse offrire una nuova opportunità, l’energia per crescere, migliorare. Già, evolversi.
Frasi, ritmi e suggestioni
Pietre miliari della sua produzione, i due brani aprono e chiudono Voyage of the Acolyte, il suo primo album da solista. È uscito nel 1975, quando è ancora il chitarrista dei Genesis e ne fanno parte Phil Collins e Mike Rutherford. Gli altri cinque brani rappresentano tappe affascinanti, ricche di antichi richiami e future anticipazioni, con frasi, ritmi e suggestioni pescati a piene mani dai colleghi (The Devil’s Cathedral, Spectral Mornings, Every Day, A Tower Struck Down, Camino Royale).
Foxtrot
La seconda parte della serata è interamente dedicata alla riproposizione, a 50 anni di distanza, del quarto album dei Genesis: Foxtrot, pubblicato il 6 ottobre del 1972. Il primo pezzo, con ambientazioni sinfoniche prodotte dal mellotron (che all’epoca acquistarono dai King Crimson), è Watcher of the Skies: racconta dello stupore di visitatori extra terrestri dinnanzi allo spettacolo mozzafiato della Terra, in un’epoca in cui l’umanità si è ormai estinta. Time table, col celebre ritornello introdotto dalla reiterazione di Why (per quale motivo?), parla della violenza scaturita dal concetto di razza, della sofferenza che comporta il predominio di un’ideologia sulle altre e dell’impossibilità di sovvertire la legge della Natura. Come cantava l’inarrivabile Peter Gabriel, “attraverso il tempo e lo spazio, sebbene i nomi possano cambiare, ogni volto conserva la maschera che indossava”.
Controllo genetico
La serata (e il disco) proseguono con Get 'Em Out by Friday: riprendendo la cronaca politica dell’epoca con sferzante ironia e sarcasmo, è di fatto un’operetta in miniatura, ricca di personaggi e ciascuno con un timbro vocale e psicologia differente. La trama passa dal violento sgombero di inquilini (per trasferirli in luoghi meno appetibili), al controllo genetico della popolazione, che impone l’abbassamento della statura degli esseri umani per poter risparmiare spazio e stiparli in abitazioni sempre più piccole. Scritto dallo stesso Hackett, Can-Utility and the Coastliners, riprende la leggenda del re norreno Canuto il grande. Stanco dell’adulazione del popolo e sfinito dall’idea di venir considerato alla stregua di una divinità, recupera la propria dimensione umana trasferendo il trono in riva al mare e ordinando invano alle acque di arrestarsi ai suoi piedi. L’immagine del regale scranno che affonda e la visione di "un ometto con la faccia che diventa rossa”, riprende una costante del lavoro dei Genesis e assesta un colpo ulteriore agli idioti vanitosi di professione di cui anche il mondo odierno appare abbondare.
Il trionfo finale
Con Hackett solo al centro del palco a tratteggiare con la chitarra acustica nuovi Orizzonti (Horizons) per la Suite per violoncello solo Bwv 107 di Bach, si giunge alla suite Supper’s ready. Feroce parodia della realtà conservatrice inglese (solo anglosassone e riconducibile all'epoca di Winston Churchill?) consegna ai posteri una tipica scenetta domestica, con “la mamma che fa il bucato” e “il papà ancora in ufficio”, mentre “la cena è in tavola”. L’immutabilità di questo scenario viene spazzata via dall’intensità dello sguardo di due amanti, dalla nascita di un nuovo modello sociale, non più basato sullo stereotipo del maschio dominante ma di un cammino egualitario. Generosi e ricchi d'inventiva, i sei musicisti chiudono la terzultima tappa italiana in crescendo. La risposta della platea è inequivocabile: un trionfo, corredato da saggi di bravura e sorrisi, tra applausi ed inchini. Il cinquantennale di Foxtrot si chiude fischiettando uno dei bis, Firth of fifth: viene da Selling England by the Pound, ma questa è un’altra storia ed è ormai scesa la sera. E il pensiero corre veloce, sospinto dalla frizzante brezza notturna meneghina: "The path is clear, though no eyes can see".