16-12-2019 ore 17:30 | Rubriche - Costume e società
di Gloria Giavaldi

La storia di Gabriele e di mamma Rosalia, amanti dello sport oltre la Sindrome di Down

“Pratico calcio da due anni, ma lo amo da sempre. Tifo per la Juventus, ammiro Cristiano Ronaldo e mi alleno per superarlo”. Poche parole strappate a bordo campo, prima dell’inizio dell’allenamento, con il pallone tra i piedi e grandi obiettivi nel cuore per vincere la disabilità. Gabriele Corona, 19 anni residente a Pandino, ha la Sindrome di Down. E lo sa. Ma non gli importa. Perché in campo c’è spazio solo per l’atleta che corre, sogna. E segna. “Mio figlio è un calciatore della Nazionale Solidale, formazione mista composta da ragazzi con varie disabilità, costituita dall’Ac Crema 1908 e allenata da Patrizia Spadaccini”. Oggi, Rosalia Grasso, lo può dire con orgoglio. Dopo anni spesi a rincorrere il meglio. Per suo figlio, per lei e per la sua famiglia.

 

La diagnosi

“Durante la gravidanza si era palesata una grave malformazione cardiaca. Ci avevano detto che Gabriele avrebbe dovuto subire un’operazione subito dopo il parto. Ma io sentivo che c’era qualcosa di più, una mamma certe cose le avverte». La paura, prima. Il coraggio dell’amore, poi. “Quando ho saputo di dover allevare un bambino con Sindrome di Down sono caduta. Avevo bisogno di tempo per metabolizzare la notizia. E di spazio, di uno spazio mio, intimo, nel quale sentirmi al sicuro. Non mi è stato concesso. L’unica alternativa che avevo era reagire”. O ripartire. Con un nuovo compagno di viaggio. “Ho spalancato le porte alla vita con Gabriele, ripetendomi che non lo avrei mai fatto sentire diverso”. Perché, di fatto, non lo era.

 

La ricerca del meglio

“Ho cominciato a cercare, a correre, animata dal desiderio di trovare il meglio”. Il miglior terapista, la migliore soluzione, la migliore cura, dribblando paure e pregiudizi, accogliendo dubbi e facendo sua un’unica verità: “Gabriele non è fragile e malato, è un atleta, che si allena, combatte, vince, perde, gioisce, si arrabbia. Cade e si rialza". Come tutti. Lo ha dimostrato da subito. “Venti giorni dopo il parto siamo andati in piscina a Paullo” e Gabriele ha iniziato a fare sport. Da quel giorno non ha più smesso. Ha praticato judo, basket, atletica. Poi si è innamorato del calcio. “Ho fatto in modo che Gabriele provasse attività diverse e scegliesse il suo sport preferito, esattamente come gli altri ragazzi. Sapevo della sua propensione per il calcio. Da piccolo, quando vedeva i calciatori giocare, si esaltava”. Oggi, invece, sul campo può esultare per i suoi successi. Ma non è stato facile. “Troppo spesso Gabriele è stato rifiutato per mancanza di strutture e di competenze. Il Crema, al contrario, è stato capace di valorizzare le sue abilità, rispettando i suoi tempi ed il suo modo di essere e conferendo a tutti l’opportunità di accorgersi di talenti diversi”. Lo sport al Centro Giovanile San Luigi diventa davvero il veicolo per fare la differenza. “La pratica sportiva unisce, rende tutti più vicini e consapevoli, insegna a guardare l’altro con occhi diversi”.

 

Il potere del pregiudizio

Insegna a vedere ciò che sul campo e nella vita resiste al pregiudizio: il desiderio di divertirsi, oltre ogni limite. “Spesso mi dimentico della disabilità di mio figlio. A ricordarmela ci pensano gli sguardi colmi di compassione, i sorrisini patetici e le attenzioni di troppo degli sconosciuti. Gabriele non è diverso, è la società che lo rende tale”. Lo dice con la consapevolezza di chi non ha alcuna intenzione di fermarsi, spronata dal sorriso di suo figlio che, tornato soddisfatto dall’allenamento settimanale, racchiude nel silenzio tutto l’amore che non dice. E nelle parole un unico desiderio: “Vorrei giocare sempre”.

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