14-07-2024 ore 19:09 | Rubriche - Musica
di Matteo Raise

Fuck the patriarchy: Taylor Swift porta il suo The Eras Tour a Milano con tre ore di concerto

And you would hide away and find your peace of mind with some indie record that’s much cooler than mine. Una premessa doverosa parlando di Taylor Swift. Sono suo fan ultra decennale. Adoro i suoi testi e le sue canzoni (chi scrive “Oh my God look at that face, you look like my next mistake” ha la mia stima incondizionata a prescindere) e quindi non ne parlerò male per moda come fanno tutti. Non cercherò di convincere i maschi alfa da “sono troppo intellettuale per ascoltare questa merda” (anche se basterebbe leggere i testi delle canzoni e essere un poco meno etorobasici nell’approccio) o da “la ascoltano solo le bambine di 10 anni” (anche qua, non è colpa di nessuno se sono fermi alla fase pre-pubertà in cui ai maschietti fanno schifo le “cose che ritengono da femmina”). Per chi ha paura, tranquilli continuate ad ascoltare gli AC/DC o i Foo Fighters. Per chi è curioso invece, andiamo avanti. E parliamo della prima delle due date sold out milanesi, quella del 13 luglio.

 

 

That's what you get when you let your heart win

Accompagnati da tutto l’hype possibile di un concerto atteso 13 anni, arriviamo a San Siro intorno alle 17. La folla è estremamente suggestiva, educata e divertente, piena di ragazze e ragazzi che ricreano gli outfit a tema delle canzoni o delle copertine di Taylor (anche qua, potrete prenderli in giro, ma non siete così diversi voi al baretto con la maglia della nazionale o di una cazzo di squadra di calcio mentre tifate). E’ tutto un meraviglioso bailamme di tulle, lustrini e braccialetti dell’amicizia (un grazie alle ragazze che me ne hanno voluti regalare un paio). Tempo utile per le necessarie incombenze e con puntualità disarmante alle 18.45 inizia il concerto di apertura dei Paramore. Spendo poco parole ma colme di stima e rispetto anche per loro, perché non ho mai avuto l’occasione di vederli dal vivo prima d’ora, per quanto ne sia fan dagli albori. Sono una band incredibile, che negli anni ha affinato il loro suono emo punk in un qualcosa di più complesso e raffinato, senza perdere un briciolo della loro energia.

 

 

All my mornings are Mondays stuck in an endless February. I love you it’s ruining my life

Alle 20, in perfetto orario, inizia invece lo show di Taylor, con la doppietta di “Miss Americana & The heart-break Prince” e “Cruel Summer”. Lo show, che durerà 3 ore e mezza per 45 canzoni , si struttura in diverse Ere, come le chiama Taylor, una per ciascuno dei suoi album. Una scelta che da un punto di vista logistico permette una miglior gestione di outfit e effetti tematici del concerto e dall’altro permette di vivere la sua evoluzione artistica specie in paesi, tra cui il nostro, in cui non ha suonato per molti anni e che quindi si sono persi i relativi tour di promozione di ogni album. Spettacolo di una magniloquenza mai vista, almeno da me. Sicuramente estremamente americano nella resa, ma di grande effetto (se vi capita guardatene la versione cinematografica su Disney+). Cambi d’abito, di palco, coreografie, stili musicali, come pochi. Le mie parti preferite? L’Era “Lover”, “RED” (con una meravigliosa All too well di 10 minuti), “Folklore/Evermore” (Willow è meravigliosa nella sua resa scenografica) e la nuova sezione introdotta nella parte europea del tour e dedicata all’ultimo splendido album uscito a maggio, “The tortured poets department”, nella quale si esibisce con il famoso abito customizzato Vivienne Westwood.

 

 

All I can say is, I was enchanted to meet you

La si può amare o odiare (o scrivere sui social “ma chi è questa?”). Rimane il fatto che sia un’artista che negli ultimi 15 anno ha spaziato in maniera corsara ed estremamente naturale dal folk al country, dall’urban pop all’indie, dal pop raffinato a quello più commerciale e che da sola riesce a dettare trend di mercato. Ha collaborato con alcuni degli artisti più significativi dell’ultimo decennio (es. Bon Iver o The National). Scrive canzoni d’amore o di cuori spezzati? Scusate, chi non lo fa? Non è tanto la scelta dei temi, ma delle parole che dovrebbe fare la differenza. E nelle sue ci trovo una sensibilità unica. Rimane ciò che Patti Smith o Joni Mitchell sono state per la propria generazione, e questo show, di una artista nel proprio prime, è ora il termine di paragone con cui chiunque dovrà confrontarsi.

1256