12-05-2020 ore 20:50 | Rubriche - Medicina e salute
di Gloria Giavaldi

Giornata mondiale dell’infermiere: “Noi non siamo eroi, ci prendiamo cura delle persone"

Li abbiamo definiti eroi. Li abbiamo osannati, omaggiati, celebrati. Li abbiamo visti lavorare senza sosta in questa lotta contro il virus. In questa corsa contro il tempo. Perché prendersi cura è il loro mestiere. E lo è sempre stato. Anche quando lo facevano in silenzio, lontano dai riflettori e dagli elogi. Perché quella degli infermieri è una vocazione, che cresce giorno dopo giorno. Si alimenta di sorrisi e lacrime, di vittorie e sconfitte. E resiste, anche al Covid. Nella Giornata mondiale della professione infermieristica di parole ne servono poche. Bastano i fatti a raccontare la passione di donne e uomini che ogni giorno vivono in corsia con indosso una divisa che profuma di umanità. Anche quando fuori c’è la guerra.

 

Covid-19, fatica e dedizione

“Il Covid inizialmente ci ha fatto sentire impotenti. Avevamo ritmi di lavoro elevatissimi, ma il nostro impegno sembrava non bastare. Abbiamo vissuto momenti difficili, ma non abbiamo mai smesso di prenderci cura delle persone”. Poche parole, miste all’emozione per descrivere mesi di assistenza, in mezzo all’inferno. Quelle che si raccontano sono professioniste cremasche, impegnate in vari ospedali della Lombardia, alcune delle quali, per ragioni professionali, preferiscono restare anonime. “Nonostante la fatica, la paura, lo sconforto di alcuni momenti sceglierei questa professione altre mille volte” ammette una di loro. “Ringrazio infinitamente tutti i miei colleghi per il supporto, la collaborazione ed il lavoro di squadra”. Chiamano per nome le sensazioni che hanno provato e, nonostante questo, non perdono occasione per innamorarsi del lavoro che hanno scelto con convinzione. “Sono un’infermiera, non sono un’eroina. Mi sono presa cura dei pazienti come faccio dal giorno in cui ho scelto di fare questo lavoro” precisa una collega “Siamo infermiere. E lo siamo sempre state. Anche quando eravamo invisibili o venivamo criticate”. Il Covid – aggiunge una terza – ha messo in luce che “non abbiamo bisogno di essere classificati come eroi oggi, per poi essere dimenticati domani. Siamo professionisti da sempre essenziali”. Anche per questo – precisa – “non sono mai stata una fanatica di questa giornata. Ci battiamo tutti i giorni a favore dei pazienti. Lo abbiamo fatto anche in questa situazione nonostante la rabbia, le difficoltà e i momenti di sconforto”.

 

L’infermiere è un modo di essere”

In tutta la sua atrocità, il Covid ha ucciso e cambiato anche la prospettiva dei sanitari. Lo spiega con difficoltà Sharon Martinelli, libera professionista impegnata principalmente nelle Rsa del territorio. “Non mi sono mai arresa, ma in alcune situazioni, valutata l’importanza della malattia, la preoccupazione principale era che il paziente non soffrisse”. Non solo competenze tecniche ma anche profonda empatia. “Quello dell’infermiere – continua Sharon – è un modo di essere. Stare vicino al paziente, sacrificarsi per gli altri, assistere, sono tutti atteggiamenti che fanno parte, non solo del nostro lavoro, ma anche della nostra vita. Un infermiere lo è per sempre”.

 

Sognare la normalità

Dalle parole di Sharon emerge tutta la passione. Quella che si infila anche tra le pieghe della rabbia e della stanchezza, raccontate da Ileana Carelli, infermiera del reparto di psichiatria dell’Asst Crema. “La mia è l’esperienza di un’infermiera anziana. Trentacinque anni di notti sulle spalle iniziano a pesare. Non è stato e non è semplice gestire pazienti in condizioni di fragilità all’epoca del Covid”. Il suo profilo Facebook racconta la quotidianità vissuta in ospedale tra i dispositivi di protezione, i turni estenuanti ed il desiderio di un futuro diverso: “Voglio tornare ad arrabbiarmi – si legge – ad annusare un fiore in un prato, a sentire il rumore del mare, a mangiare con la mia famiglia ed i miei amici. Voglio tornare a vivere”. Tutte sognano la normalità, ma oggi l’unico modo per festeggiare è stare in corsia. Al loro posto. Accanto ai malati, che sono “gli unici veri eroi di questa vicenda, insieme ai loro familiari”.

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