11-04-2021 ore 19:04 | Rubriche - Medicina e salute
di Gloria Giavaldi

Infermieristica. Lo studio in Dad tra teoria e pratica: 'mancava il contatto con i malati'

“Il tirocinio clinico è una parte irrinunciabile del percorso di studi di uno studente di infermieristica. È il più grande insegnamento: solo in reparto capisci cosa voglia dire davvero assistere una persona. Certo, anche la parte teorica è fondamentale, ma nulla vale quanto sentire il corpo di una persona sottopelle”. Emma Fioretti è un'infermiera. Ha conseguito la laurea lo scorso marzo, ma “ho dovuto interrompere il tirocinio in presenza  causa Covid". È stato sostituito da alcuni casi clinici da analizzare. "Ho temuto, come altri, che questo potesse avere delle ripercussioni sulle mie esperienze lavorative”. “Il tirocinio – si legge nella sua tesi dal titolo La didattica ai tempi del Covid-19: percezione degli studenti del corso di laurea di infermieristica – è l'elemento di saldatura tra il sapere teorico ed il sapere pratico”. È il momento in cui “il sapere acquisito diviene sapere esperienziale”. L'attimo in cui le nozioni apprese sui libri si mischiano alla vita, ascoltano il dolore e si fanno cura, miste ad “una indispensabile dose d'empatia”.

 

Assistere

Questo è il significato più intimo dell'assistenza: “assistere una persona significa farsi carico dei suoi bisogni, valutare tecnicamente le sue richieste senza farla sentire sola”. Con il Covid, l'infermiere “è divenuto indispensabile”, non solo “per le conoscenze tecniche, ma perché “ha necessariamente assunto sulle spalle anche il ruolo fondamentale che in condizioni normali svolgono i familiari durante la degenza”. Ne parla con consapevolezza Emma, ora che tiene la tesi tra le braccia e può lasciarsi il percorso accademico svolto presso la sede cremasca dell'Università degli studi di Milano alle spalle. “Non è sempre stato così. Da studente, nonostante la difficile situazione, non potevo aiutare in corsia. Questo aumentava il senso di inutilità e la percezione di veder sospeso il percorso di studi”.

 

Online sì e online no

Si tratta di una sensazione generale e diffusa anche tra i partecipanti al questionario che Emma ha sottoposto per realizzare il suo elaborato di tesi. “Ho voluto indagare la percezione tra gli studenti del corso di laurea in infermieristica circa la didattica online, attuata nel periodo pandemico”. I questionari sono stati distribuiti tra maggio e giugno dello scorso anno. Su un campione iniziale di 804 questionari, solo 426 sono stati ritenuti idonei. Di questi, 358 persone hanno assistito alle lezioni online, 68 no. “Per tutti la più grande perdita è stata la mancanza del tirocinio. Tra gli studenti che facevano parte del gruppo online sì, si evince una maggiore consapevolezza dell'identità professionale”, motivata in larga misura “o dall'opportunità di fornire una cura o da una cosiddetta vocazione”.

 

La forza dei legami

Secondo lo studio elaborato da Emma, l'uso della didattica online è risultato funzionale all'acquisizione di conoscenze tecniche, ma non “all'apprendimento di abilità pratiche”. Ecco perché “l'impossibilità di vivere i contesti clinici è stata percepita dai più giovani come una perdita di opportunità” che in alcuni casi ha determinato “un'incertezza riguardo all'esercizio della professione”. Al di là delle difficoltà pratiche legate alla mancanza di adeguate infrastrutture tecnologiche e di buone competenze digitali, l'isolamento sociale e la Dad hanno avuto un impatto importante sulla didattica: “il gruppo online sì dimostra come le relazioni durante la pandemia siano avvenute nel mondo digitale con un calo di interazioni: il rapporto era limitato a fini meramente didattici”. Per questo gli studenti chiedono “di ripristinare relazioni reali con i colleghi per gestire al meglio l'ansia da esame”. Anche la mancanza di confronto con i docenti ha la sua importanza: “il confronto è fondamentale per facilitare il processo d'apprendimento”.

 

Incertezza e nuove sfide

La pandemia ha aggravato nei giovani “il senso d'inutilità, l'ansia e la depressione”. Complice anche “il monitor del computer che produce un senso di isolamento”. I più resilienti hanno avuto la meglio, mentre, secondo uno studio cinese presentano maggiori livelli d'ansia “gli studenti universitari, anche in condizioni normali più soggetti alla depressione, che vivono da soli, vivono in zone rurali, in situazioni economiche precarie o con un parente malato di Covid”. Secondo uno studio israeliano maggiori livelli di ansia sono determinati “dall'incertezza sul futuro, dall'instabilità economica, dalla didattica a distanza, dai bambini da curare o dalla paura di essere infettati”. Oltre il timore, ora è tempo di fare la differenza in corsia. Ascolto ed empatia sono gli ingredienti fondamentali del prendersi cura, uniti ovviamente “ad una buona dose di conoscenze tecniche”. “Assistere i malati vuol dire stare loro accanto”. Lo ripete e poi precisa “lo dice il manuale in modo freddo e asettico”. Porta a farlo il cuore. Ogni giorno. Per scelta.

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