Non stupisce, o forse sì, che Crema, avendo sempre avuto un rapporto profondo con l’acqua oggi si abbia la consapevolezza che ciò sembri normale vedere scorrere tra le trafficate vie cittadine: rogge e fossati, anche se di molto rimaneggiati se non addirittura interrati. I pochi rimasti hanno contribuito anche recentemente al disegno urbanistico cittadino e alla formazione di micro ambienti naturali di indubbio valore.
Roggia Rinetto
Quando la città incontra la natura tutto sembra avere un’altra dimensione e un altro respiro. È il caso, a Crema, del corso della roggia Rinetto, lungo la via Treviglio. Un breve tratto dove la natura si è ripresa i suoi spazi forse risparmiati dallo sviluppo urbanistico che negli anni a cavallo del 1970 si era concentrato su aree più vaste e appetibili a nord della città con costruzioni più imponenti e con tipologie di costruzione molto diverse dal quartiere in cui il Rinetto anticamente scorreva disegnando l’urbanistica di quel tratto cittadino consegnandola fino a noi. Il Rinetto è una diramazione della roggia Rino-Fontana, irrompe in città con una serie di sottopassaggi stradali da prima su via Boldori per entrare definitivamente in via Treviglio dove da un’antica cascatella ha origine il sottopasso sulla stessa via Treviglio per scomparire poco dopo sotto via Indipendenza per affrontare l’ultimo tratto della sua corsa gettandosi perpendicolarmente nella roggia Cresmiero all’altezza di via Martiri di Belfiore.
Spì dal sìgnur
Col tempo le acque del Rinetto hanno contribuito a creare un ecosistema urbano caratterizzato da rive ben alberate dove predomina un’essenza molto particolare: il tricanto (Gleditsia triacanthos) in cremasco Spì dal sìgnur. Un albero imponente e dritto, alto fino a 25 metri: il tronco è ricoperto da lunghe spine, erroneamente chiamato anche albero delle carrube poiché produce bacelli molto simili alle carrube commestibili. Una ventina almeno le essenze arboree ed arbustive che ricoprono le rive della roggia dove la rinaturalizzazione è avvenuta in modo spontaneo grazie all’apporto di essenze depositate dall’acqua sulle sponde durante azioni di piena e secca periodiche e in gran parte anche per opera dell’uomo.
Platani, querce, cannucce d’acqua
Questo piccolo ecosistema conserva un po tutte le caratteristiche ambientali, faunistiche e botaniche del vicino Moso dal quale sicuramente ha preso le cose migliori. Lungo le sponde cittadine si scorgono tratti ricoperti da vegetazione palustre come il carice (Carex), cannucce d’acqua (Phragmites australis) e la tifa (Typha latifolia). Gli alberi sono maestosi esemplari ben conservati di platani e querce che si alternano a filiformi robinie e aceri campestri spesso sovrastati da edera e vegetazione rampicante; scrigni importantissimi per insetti e piccoli passeriformi che qui trovano cibo e rifugio. Sull’acqua si muovono quasi indisturbati anatre e gallinelle mentre su posatoi naturali di carici una moltitudine di libellule e farfalle competono per un posto in prima fila. L’acqua sempre poco agitata alimenta questo piccolo angolo di biodiversità cittadina ‘affidando’ al tricanto con le sue poderose spine l’opera di protezione di questo singolare forziere di bellezza urbana affinché rimanga tale e sia, ove esistono le condizioni naturali, modello urbanistico.