La prevenzione passa da una presa in carico globale delle fragilità. “Consiste nella possibilità di accogliere il disagio multiforme dei giovani, di poter offrire spazi, momenti di ascolto e modelli che possano incentivare i ragazzi a vincere il senso di vuoto ed inadeguatezza che manifestano. Passa necessariamente da un lavoro di rete tra i consultori, i comuni, le strutture di neuropsichiatria infantile, le scuole e la famiglia e tutte le realtà che si occupano di adolescenti a vario titolo”. Come a dire, da soli non si va lontano. La risposta alla problematica del disagio giovanile deve essere corale per essere efficace. É questo il messaggio che l’unità operativa di neuropsichiatria infantile dell’infanzia e dell’adolescenza di Asst Crema vuole diffondere in occasione della giornata mondiale per la prevenzione del suicidio.
Il Covid ha aumentato i disagi
Come raccontano le neuropsichiatre infantili Alessandra Foppa Pedretti e Vera Cerioli: “il Covid ha determinato un aumento delle situazioni critiche e un’impennata degli accessi in pronto soccorso, quasi triplicati rispetto all’epoca pre Covid. L’intenzionalità e la progettualità suicidaria nei più giovani si collocano all’interno di un ventaglio eterogeneo di sintomi quali la disregolazione emotiva e comportamentale, il disturbo del comportamento alimentare, forme di autolesionismo, ritiro sociale. “Il tentato suicidio resta un segnale d’allarme da non sottovalutare. È un messaggio che i più giovani vogliono lanciare. È il tentativo di far comprendere la propria situazione di disagio, richiamando l’attenzione su di sé, senza realmente comprendere fino in fondo il rischio connesso a determinati gesti”. Un fenomeno irrimediabilmente legato all’intenzionalità suicidaria è quello dell’autolesionismo. “Molti studi elaborati in paesi anglosassoni anche pre Covid hanno dimostrato come il permanere di una sintomatologia di autolesionismo sia connessa ad un aumento della progettualità suicidaria, soprattutto tra le ragazze”. Di certo, la pandemia ha esacerbato situazioni di disagio. “La convivenza forzata ha portato ad una esplosione della sintomatologia, tenendo conto che in alcuni periodi l’accesso in pronto soccorso poteva rappresentare l’unica occasione per farsi ascoltare”.
Ansia e panico
“Sono state per lo più le ragazze a chiedere aiuto per sintomi quali l’ideazione suicidaria e il tentato suicidio. I ragazzi esprimono il proprio malessere con altre modalità: comportamenti devianti, risse, conflitti, uso di sostanze”. Tra le difficoltà manifestate anche “stati di ansia e di panico per il futuro”. Da padroni, l’hanno fatta anche i social network. “In un momento in cui rappresentavano una delle poche occasioni di relazione, per alcuni sono stati veicolo di modelli disfunzionali, determinando soprattutto tra i più giovani il sorgere di disturbi alimentari, diversi da quelli classici. In questo tempo il disturbo alimentare ha perso i connotati che tutti conosciamo. All’anoressia nervosa., alla bulimia o a forme di binge eating si affiancano forme di vigoressia (ossessione per un fisico perfetto) e ortoressia (ossessione verso forme di sana alimentazione), che meritano attenzione “perché potrebbero essere cicliche”. Prevenzione è anche continuità nella presa in carico. “In epoca post Covid, quanto ad accessi in regime di urgenza possiamo dire di essere tornati alla normalità, ma dobbiamo fare in modo che certi messaggi non cadano inascoltati, che i giovani non si affatichino nella raggiungimento di modelli irraggiungibili veicolati dai social, ma possano trovare ascolto, comprensione e realizzazione nella quotidianità”. Dobbiamo farlo, in un’epoca in cui il suicidio è la quarta causa di morte nel mondo per i giovani tra i 15 ed i 29 anni.