Il tutù, il mantello rosso della Bella e la Bestia, la corona, le calze colorate e le scarpe rosse. Non un abito da sposa classico, “non uno qualsiasi: il mio”. Ogni pezzo “racconta Clara, il suo essere fuori dal comune”, di nome e di fatto. Perchè l'insegnante di ballo Clara Mussini, sabato 8 gennaio, si è trovata davvero fuori dal Comune di Bagnolo cremasco, subito dopo il matrimonio con il “suo” Matteo Lanzoni. Non una cerimonia canonica ed elegante. No, “perchè noi non siamo così. E anche quel giorno volevamo essere noi: sorridenti, solari, diversi”. Liberi di dire che l'amore supera le convenzioni. “Non annienta le tradizioni, ma oltrepassa le imposizioni”. “Anche le tradizioni raccontano ciò che siamo, se calate nella nostra vita. Faccio un esempio: le fedi ce le siamo scambiate sì, ma non in comune, davanti all'ufficiale di stato civile. No, molto prima: subito dopo aver acquistato casa. Perché l'inizio di una vita non è un pezzo di carta, è la scelta di costruire qualcosa insieme e di condividere”. Il tempo sotto lo stesso tetto. Anche dopo le delusioni e gli inciampi. “Matteo è divorziato. Quando mi ha chiesto di sposarlo gli ho detto: sei sicuro? Non serve. Mi ha risposto: si perché nonostante tutto credo ancora nell'amore”. E l'amore è quella cosa lì, “che ti permette di riconoscere una persona in ogni attimo. Pure in quelli più importanti. Ecco perché non ho voluto essere diversa da ciò che sono neanche il giorno del matrimonio. Ho voluto, piuttosto, che le persone della mia vita ritrovassero la mia follia, il mio amore”. E la musica.
Matrimonio al tempo del Covid
L'ufficiale di stato civile è stata una sua amica. Ad attendere gli sposi all'uscita non la marcia nuziale, ma un flashmob (nel rigoroso rispetto delle norme anti Covid) sulle note di Michael Jackson. Le bomboniere? “Una spilla a forma di mano argentata, in ricordo sempre di Michael Jackson. Il regalo più grande? Vederla indosso alla zia di 97 anni, alla finestra di casa sua per assistere all'uscita”. La ricerca di una foto in posa è stata complessa. “Ce n'è una”. Lei stretta nel suo mantello rosso “come avevo sempre sognato da bambina”, lui in un abito “leggero. Matteo mi ha sempre chiesto leggerezza per il grande giorno. Voleva divertirsi. Voleva ricordi sorridenti. Nonostante l'odissea che abbiamo affrontato per arrivare a questa data”. Programmare un matrimonio non è mai facile. Programmarlo ai tempi del Covid, mette a dura prova il sistema nervoso. Farlo quando i contagi non fanno altro che salire “significa imparare a vivere in altalena tra la felicità e l'angoscia: abbiamo rimandato il pranzo”.
'Un ricordo felice'
Alcuni degli invitati non hanno potuto esserci neanche alla cerimonia “ma recupereremo”. Altri ci sono stati e “hanno visto la luce nei nostri occhi”. In fondo, fuori dal Comune c'erano quasi tutti: “i miei genitori, le mie amiche, il mio cane”. Non il lusso, non l'apparenza, ma l'essenziale. E i sogni, “solo nostri”. Racchiusi in una casa che oggi sta ancora prendendo forma. “Sarà pronta per la fine di febbraio. Ecco forse, quando metteremo piede davvero lì dentro, sarà il momento giusto per piangere insieme”. Non lo è stato il matrimonio: “di quel giorno ho un ricordo felice, perché nonostante i mille intoppi, eravamo noi. Con i nostri abiti diversi, non convenzionali, stravaganti. Indossati da chi ha il coraggio di essere se stesso in un mondo di convenzioni. Di imposizioni”. E, ovviamente: “li abbiamo scelti insieme. Io e Matteo abbiamo condiviso ogni istante”.
Un patto con l'autenticità
Il mantello rosso, insomma, non serve per nascondere. “Piuttosto per raccontare. L'abito me lo sono costruito da sola. È un po' come il gioco dei puntini: unendo vari pezzi si conosce Clara”. È un patto con l'autenticità “ed è stato un modo per capire chi mi conosce davvero. Alcuni mi hanno chiesto se avessi acquistato l'abito all'atelier. Altri avevano capito tutto ancora prima di vedermi. Non conta il tempo, conta l'intensità con cui si condividono i momenti. Conta il desiderio di andare oltre”. Oltre la corazza. “O forse in questo caso, oltre il mantello”. In quei vestiti tanto atipici resta la libertà. “Resta il sogno di un mondo più giusto che non giudica dalle apparenze, ma combatte per fare a pezzi le ingiustizie”. Per fare a pezzi la rabbia. “Perché ridere è più bello. Amo far ridere le persone. Amo sorridere. In ogni momento”. Così la vita è più bella. Auguri.