Con questa serie di interviste i delegati e gli operatori sindacali della Cgil e della Cisl continua il progetto Vivere ancora, realizzato in collaborazione col centro di ricerca Alfredo Galmozzi. Questa volta viene affrontata la “fragilità del lavoro” con esperienze di vita vissuta. Le incertezze delle nuove condizioni lavorative, l’assenza di una stabilità economica e la scarsa ambizione dei giovani sono gli spunti di riflessione emersi.
La frustrazione
“Una volta si arrivava a fine mese, adesso non si arriva più, la vita è diventata troppo cara”, Sonia Rabai lavora all’ospedale Maggiore di Crema come addetta delle pulizie. Lei, come altri colleghi denuncia una paga bassa rispetto al numero di ore lavorative. Una tale situazione crea frustrazione tra i lavoratori: “è un lavoro gratificante perché essendo in ospedale hai a che fare con le persone, l’unica pecca è quando arrivi a fine mese che vedi lo stipendio e ci rimani male. Fai tante ore, fisicamente sei stanca e non sei neanche stimolata economicamente parlando”.
La disillusione giovanile
Il mondo del lavoro è una tematiche che dovrebbe interessare i più giovani, le scuole stesse dovrebbero impartire lezioni della storia del sindacato. Oggi si nota una tendenza a fuggire anziché affrontare il problema, nei ragazzi si riscontra tanta fragilità psicologica e l’impossibilità di affrontare le sfide lavorative. “I giovani sembrano disinteressati, risucchiati dai loro telefonini”, commenta Stefania Mancuso.
Parte attiva del lavoro
“Se non sei al passo coi tempi sei destinato a fare dei lavori poveri”, per lavori poveri Luca Mariani, operatore nella Cisl, si riferisce a mansioni che non permettono di progredire, dove il lavorate non cresce e viene visto come di “serie b”. La precarietà si potrebbe superare se il lavoratore aumenta il suo bagaglio di conoscenze ma anche se il datore di lavoro può contare su personale formato e coinvolto. Gli stessi capi devono coinvolgere i propri dipendenti, facendoli sentire componente attiva nella realizzazione dei progetti.