05-10-2024 ore 16:32 | Rubriche - Musica
di Matteo Raise

David Gilmour in concerto al Circo Massimo di Roma. Alla ricerca di un’estasi perduta

“Come finisce un amore? Ma allora finisce? Nessuno – salvo gli altri – lo sa mai; una specie d’innocenza nasconde la fine di questa cosa concepita, propugnata e vissuta come eterna”. Utilizzo Roland Barthes per introdurre i miei pensieri sulla seconda delle sei date romane che hanno visto David Gilmour ritornare sui palchi dopo quasi un decennio, in occasione della promozione del suo ultimo disco, Luck and Strange. E qualcuno mi odierà, già lo so. Ma si chiede sincerità quando si parla di arte, e così sarà.

 

Confessioni di un watersiano

Parlare di Gilmour vuol dire parlare di Pink Floyd, di un fascino quasi trentennale che esercitano su di me, dalla mia prima musicassetta acquistata consapevolmente di Wish you were here. E parlare di Pink Floyd conseguentemente vuol dire parlare della fine di un amore, di un gruppo, del disgregarsi dei rapporti umani all’interno dello stesso, del pensare che possa sostituirsi una parte dell’insieme per mantenere inalterati gli esiti, quando in realtà non è che un claudicante esperimento mal riuscito di affrontare la realtà. David Gilmour rimane ad oggi il mio chitarrista preferito, ma non un’artista che ammiro.
 


Parlare alla contemporaneità

In una concezione sapiosessuale, ho perso qualsiasi interesse nei Pink Floyd dall’uscita di Roger Waters con The Final Cut. Tutto quello che è arrivato dopo, sono dischi tanto curati nella forma quanto inutili (salvo alcune belle canzoni, passare da Pigs a On the turning away a livello testuale è imbarazzante) e live che non lasciano nulla se non una band in grande spolvero. Laddove ancora oggi Waters contestualizza e riadatta i propri testi ai nuovi contesti politico-sociali, Gilmour è ancorato a un cliché più boomer-rock, con show relativamente simili a se stessi, reiterati negli anni. Gilmour probabilmente è felice della sua nicchia, costituita per lo più dai reduci del “ruock”, del “io ascolto la musica vera, quella dei Queen dei Led Zeppelin e dei Pink Floyd” e non ha l’interesse di Waters a rinnovarsi, commettendo il crimine più grande per un artista: non saper parlare alla contemporaneità. Del Suo nuovo album ho apprezzato davvero poco, unicamente la bellissima cover di Between two points cantata dalla figlia. Un pezzo alternative pop totalmente diverso da qualsiasi cosa abbia mai fatto nella sua carriera solista e forse proprio per questo mi piace.
 


Il concerto

Parliamo del concerto ovviamente, di cui la leg di Roma costituisce la prima parte, cui seguiranno Londra, Los Angeles e New York. Anticipato da prove libere a Brighton, è emerso un Gilmour invecchiato, dalla voce debole e dalle mani un poco arrugginite. Ora, queste critiche lasciano il tempo che trovano, non credo la voce e una tecnica chitarristica ai limiti dello sport siano le cartine tornasole per giudicare un 78enne che torna in tournée dopo quasi 10 anni. La sua voce va bene così com'è e la sua chitarra, anche se più lenta rispetto al passato, ha ancora il suono unico di mille cherubini che piangono e riesce ancora a toccare l’assoluto. Marooned è stata eccezionale, così come la sua slide guitar su High Hopes. Il primo set ha alternato brani ripescati per lo più da The Dark Side of the Moon e The Division Bell, con una immancabile Wish you were here che però mi ha fatto rimpiangere le versioni di Waters, a mio avviso più sincere, visto a chi son dedicate.

 

Cosa rimane

Il tracollo per me è nel secondo set, in cui vengono per lo più suonati brani del suo repertorio solista. E il confronto con il passato assume confronti tragici. Solo il suo talento alla chitarra riesce a salvare un set altrimenti noioso. Posso capire la scelta di voler utilizzare meno brani possibili scritti da Waters (e posso accettare che l’amore diventi odio, vi comprendo), ma queste sono le conseguenze. Cosa rimane di questo concerto? L’aver ascoltato quella chitarra, quel tocco che è rimasto il migliore di sempre, che rimarrà nella storia. Ma, almeno per me, ha confermato quello che pensavo. Suonala ancora, Roger.

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