Stage adornato come una red room a là David Lynch, si alza il sipario e parte Amanda Lear, la canzone scelta per aprire la tournee Intimo Sexy dei Baustelle, che il 2 maggio ha toccato gli Arcimboldi a Milano.
Mischia Erode, Giuda, Manson, l'I Ching
Un concerto che è un drappo di velluto nero infilato in gola per tamponare un cuore sanguinante. Un funerale in cassa d’ebano e raso di Gucci, che nei teatri trova la sua ideale cerimonia. Abbandonati i live club e le arene estive dello scorso anno, in promozione del loro ultimo album “Elvis”, la setlist daora spazio ai brani maggiormente intimisti del loro repertorio, salvo qualche necessaria, e gradita, eccezione.
Il regno dei cieli è una scatola di foto, l’ombra dell’amore che ci hanno procurato
E’ difficile inquadrare la poetica di Bianconi, il frontman della band. Un mix di amore e di violenza, sangue, sperma, tenerezza e bramosia filtrati dalla letteratura Pulp e decadente (citazioni flash: “succhia bene sputa o manda giù, rimani un poco prima di andar via” ,“le tue cosce cosce bianche stonano sopra le donnine pornografiche appese dagli altri custoditi qui con me”, “senza macchia l’amore cos’è?”), di remore a dio (“Padre Nostro con la terra in bocca non respiro la tua volontà”), di critica sociale (“io credo nel peggio che deve arrivare nell’ego dei calcoli dei governanti e quindi mi servono armi lo so”), suicidi (“questa è la storia che dal quinto piano cadendo so”, “un rasoio inciderà la mia pelle”), e i cui messaggi sono veicolati attraverso le storyline interne alle canzoni e i suoi protagonisti. Protagonisti che in un gioco di specchi alternano i lati maschili o femminili della personalità (in parte omaggiati anche dai look di scena, molto più fluidi che in passato). In questo ventennio e oltre di attività la scrittura è cambiata, passando da tematiche tardo adolescenziali (a caso: “Martina”, assente nei live da almeno un decennio, “Gomma” e “La canzone del riformatorio”) a testi più complessi e filosofici (“Nessuno” o “Il regno dei cieli”). Come in ogni gruppo post-moderno che si rispetti, non c’è distinzione tra la cultura alta e quella bassa, nelle citazioni e nei richiami operati all’interno dei testi. Singolare è ovviamente anche il sound della band, che ormai si è evoluto in un (meraviglioso) bukkake sonoro che riprende i gruppi più pruriginosi, e quindi più fighi, del brit pop (Suede e Pulp), Battiato, il pop anni 70 e 80, Gainsbourg e Bacharach, rimescolati in un modo unico e perfettamente riconoscibile e identitario, azzarderei baustelliano.
Perché l’amore rende ciechi se c’è e non distingui Silvia Plath da un parassita
Tornando al concerto, è durato quasi 2 ore, con una setlist che ha passato in rassegna quasi ogni album della band, con una predominanza dell’ultimo “Elvis” , del doppio “L’amore e la violenza” e dell’ormai iconico “Sussidiario illustrato della giovinezza”. Il concerto si è articolato in un primo set, a cui ha fatto seguito un intermezzo acustico, e poi un set finale, con in chiusura gli anthem generazionali “Gomma” e “Charlie fa surf”. Gli arrangiamenti sono molto spesso differenti rispetto alle versioni ascoltate su album, e tutti perfettamente riusciti. Il pubblico era completamente coinvolto, cantando a squarciagola la quasi totalità delle canzoni.
Per restare vivi organizziamo concerti per non vedere il vuoto mai dentro di noi
Ho seguito questa band fin da quando ero adolescente al liceo, dai tempi de “La Malavita”, e posso definirli il mio gruppo italiano preferito. Una sorta di Madeleine proustiana, un come eravamo e un come saremo. Metterei questo concerto nella mia top 3 baustelliana. Li avrei ascoltati e li ascolterei suonare per ore (perché avrei davvero voluto sentire tante altre canzoni che non hanno trovato spazio in scaletta) ma, citandoli, “niente dura per sempre finisce ed è meglio così”. Figurati io e te.