01-02-2020 ore 20:30 | Rubriche - Costume e società
di Gloria Giavaldi

Autismo, il papà di Lilou: 'il silenzio non è un gioco. È mia figlia ad avermi spiegato la vita'

Si guardano, si abbracciano. Per un attimo sono vicini. Poi lei fugge con lo sguardo. Lontano, in silenzio. In un silenzio destinato a durare una vita, custode di un amore coraggioso, di paure condivise, di interrogativi solitari. “Ascolto il silenzio di mia figlia da quando è nata, non ho altro modo per comunicare con lei”. Scandisce bene le parole, Chicco Gruppi, come se lo facesse anche per Lilou. Non ripete il concetto due volte, vuole che sia chiaro da subito: “L’autismo fa schifo, ma la vita no. La vita è sempre bella”.

 

Autismo, silenzio e vita

Al polso l’orologio segna il tempo che passa. Sua figlia oggi ha 11 anni, non parla, non è autonoma, è un’adolescente “senza la percezione del tempo e dello spazio”. “Non posso spiegare a Lilou che abitualmente ad agosto fa caldo e si va al mare, non lo capirebbe”. Le loro conversazioni non hanno voce. Ma gli occhi bastano. Per loro il silenzio non è un gioco. “L’autismo è una condizione che richiede fantasia ed empatia per scoprire tutto ciò che è vita”. Anche senza le parole. Anche con la microcefalia. “All’età di nove mesi Lilou non stava seduta. Poi sono subentrati problemi nutrizionali, dubbi senza risposta, esami senza senso. Fino alla diagnosi, senza un perché”.

 

Realtà da accettare

Non restava che raccogliere i brandelli di ciò che rimaneva e ricomporre la vita. “Ho dovuto ripensare tutto, ma, nell’incoscienza, non ne ho fatto un dramma”. Aveva la sua bambina tra le braccia, il resto non contava. “Non ho realizzato subito ciò che stava succedendo e non ne ho nemmeno parlato molto con mia moglie Beatrice. Mi chiedevo cosa stessi tralasciando e cosa potessi fare per rimediare. Poi ho capito che non c’era un problema da risolvere, ma una realtà da accettare e da vivere”. Oggi guarda il corpo di sua figlia cambiare. Non può fermare il tempo, ma deve aggrapparsi alla vita. Sua e di sua figlia. “Le nostre vite sono diverse, ma non potranno mai essere fisicamente distanti. Non potrò mai vedere mia figlia amare un uomo e costruirsi una famiglia. Lilou starà con me sempre, finché ci sarò”. Con i sogni appesi ad un filo di realtà ed un amore potente, capace di raggiungere la Luna. “Sogno, nonostante l’autismo. Ma i miei sogni sono cuciti a misura della frenetica quotidianità che vivo. Nella mia vita non c’è spazio per l’apprensione per le uscite serali degli adolescenti. Perché non c’è pericolo: Lilou certe esperienze nella vita non le farà mai”.

 

Essere famiglia

Allo specchio non vede il padre che si era immaginato, ma un uomo che ha imparato a trarre dal silenzio tutte le risposte. “Dopo la diagnosi ero perso. Non sapevo cosa fare, dove andare. Mi sono trovato a gestire una situazione che non conoscevo. Senza istruzioni”. E senza aspettative. “Ero solo, con una bambina da crescere ed una diagnosi da capire. Solo. Perché la verità è che l’autismo è solo di chi lo vive ogni giorno sulla propria pelle”. Di chi ne respira i silenzi, la distanza, la paura e, nonostante questo, non si arrende. Trova sempre il coraggio di fidarsi. Del calore di un abbraccio, del profumo del caffè, del silenzio di Lilou. “La famiglia ci fa esistere in eterno. La vita è l’opportunità di scrivere un pezzo di storia che vive e vivrà nel tempo sulle spalle dei figli”. Nella quiete di Lilou, nel coraggio di suo fratello Leone.

 

Fare squadra

La sveglia suona presto. Rincorrere la felicità, a zig zag tra terapie, lavoro, preoccupazioni e autismo, è l’obiettivo quotidiano. “La disabilità di Lilou mi ha reso più empatico. Ho imparato ad ascoltare maggiormente e a battermi per il sorriso di tante persone”. Ché non si può vivere soli. Soli si può resistere, fare a pugni con le fragilità. Ma vivere, no. Vivere è un’altra cosa. È parlare con gli occhi, gioire di un sorriso, riempire la vita di colori, imparare a stare in gruppo. A fare squadra. “Crescere un figlio disabile è impegnativo. Cambiano i tempi, le priorità, gli spazi. Non esiste un vademecum, ma condividere un pezzo di strada può essere un buon motivo per partire. O ripartire”.

 

Tempo Diverso”

Lo dice di fronte ad una tela piena di impronte colorate. Di mani di genitori che, come lui, quotidianamente danno forma alla speranza, respirando ogni sabato fugaci istanti di libertà. “Il sabato per tutti deve essere Tempo diverso”. Tempo per riflettere e fermarsi. “Con l’associazione Mai Stati Sulla Luna, che ho ideato insieme a mia moglie Beatrice, ho creato uno spazio in cui i bambini possano stare bene ed i genitori possano svagarsi, plasmando la loro quotidianità”. Per qualche ora. Poi Tempo Diverso finisce e torna il tempo della vita di ciascuno. Fatto di autismo, paure e di ostacoli, ma anche di coraggio e silenzio. Di quel silenzio che riempie i cuori ed abbatte ogni distanza. Sulla porta, Lilou è tornata, vuole un abbraccio. In silenzio, senza parole, senza spiegazioni: l’amore è tutto lì.

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