Stamattina in piazza Duomo, a Crema, il sindaco Fabio Bergamaschi ha aperto le celebrazioni per la Festa della Liberazione presso il famedio sulle note della banda Giuseppe Verdi di Ombriano. Presenti al momento istituzionale la giunta, i consiglieri regionali Matteo Piloni e Riccardo Vicari, il consigliere provinciale Eugenio Vailati, la presidente del Comitato della Costituzione Iris Campostori e le autorità civili e militari. Come ha sottolineato il primo cittadino, “l’80° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo ci chiama ad un momento di riflessione profonda e consapevole. Ottant’anni: una distanza che misura non tanto il tempo trascorso, ma il cammino compiuto. Una profondità temporale che ci impone, in altre parole, di verificare in coscienza se il debito morale che ci lega a chi, con coraggio e sacrificio, rese possibile la rinascita del nostro Paese sia stato onorato. Un’analisi che non può non transitare attraverso una riflessione sulla nostra capacità di lettura ed applicazione attualizzata di quei valori, ovvero dalla necessità di sottrarre la Resistenza e i suoi ideali al campo della museologia o della mitologia politica per renderli strumento di interpretazione e plasmazione del presente, in un mondo in cui i fascismi non si presentano certo più con il fez, ma con il metodo sempiterno: volontà di potenza, falsificazione della realtà, annientamento prima morale e poi anche fisico dell’avversario, violenza come metodo di confronto con l’altro, ovvero distruzione di chiunque si opponga al proprio disegno di dominio”.
Scenario sempre più deteriorato dall’azione delle autocrazie
“Non è difficile scorgere questi caratteri inequivocabili nell’azione odierna di alcuni Stati e, almeno in nuce, di alcuni movimenti politici di chiara matrice estremista, in uno scenario internazionale sempre più deteriorato dall’azione delle autocrazie, ma anche all’interno delle nostre stesse affaticate società democratiche occidentali. Talvolta in modo larvato, talaltra esplicito ed, anzi, rivendicato. Eppure non sono affatto univoche le letture che si conferiscono a questi fenomeni, in democrazie liberali che nel tempo hanno assunto progressivamente le fattezze di una Babele in cui gli uomini non si comprendono più, perché non parlano più la medesima lingua. Una maledizione che è lecito pensare non venga da Dio come nell’episodio citato dalla tradizione biblica, ma che promani dalla stessa insipienza umana: dall’incultura, dal fallimento dei presìdi educativi, dal disimpegno democratico e sociale, dall’interpretazione della libertà come valore disgiungibile dalla responsabilità verso gli altri, dall’esasperazione dell’individualismo libertario che nega di fatto l’esistenza del Bene Comune, poiché è lo stesso individuo a decidere cosa sia bene e cosa sia male secondo i propri desideri e a prescindere dalla verità stessa del bene e del male, come ricordato in una lezione poco conosciuta del compianto Papa Francesco”.
I difetti e le storture della nostra società
“La democrazia si sta trasformando progressivamente in un luogo in cui ognuno crede in ciò che ritiene, ma non nel senso alto, di esercizio di quella sacra libertà di pensiero che ne è lo stesso fondamento, ma di affermazione del patologico “pensiero confirmatorio”, quel fenomeno ben descritto in psicologia che porta alcune persone, sempre più moltitudine, a rafforzare le proprie preconcette convinzioni prediligendo le informazioni ed i fatti che le confermano ed ignorando, scartando o manipolando quelle che le confutano, fino allo stesso rifiuto della realtà. Nasce così la polarizzazione, parente prossima dell’incomunicabilità, presupposto di esasperazioni di toni e degenerazione di pensieri che alimentano frizioni ideologiche ed un clima sociale pericoloso, esplosivo, facile all’innesco. Avremmo mai pensato, solo pochi anni fa, di assistere all’assalto del Campidoglio degli Stati Uniti d’America, nel Paese considerato, sebbene con qualche superficialità, la più grande democrazia al mondo? Chiedo perdono se queste considerazioni possano sembrare un’eccessiva digressione rispetto alle tradizionali liturgie del 25 aprile, cui certo non intendo sottrarmi, ma credo che oggi onorare la Resistenza, la Costituzione Italiana sua figlia, la democrazia che ne scaturì e che fu il presupposto dello stesso benessere socioeconomico di questo nostro amato Paese passi anche dal tentativo di portare la nostra attenzione ai difetti ed alle storture della nostra società che possano degenerare nei prodromi del ritorno di ciò che la Resistenza ha sconfitto”.
Svegliarci dal torpore e dall’illusione di vivere in tempi ordinari
“E se in un altro Paese considerato culla della democrazia come il Regno Unito alcuni inquietanti sondaggi certificano che circa la metà dei giovani under 30, la cosiddetta Generazione Z – quella, non casualmente, abituata a fruire massicciamente dei contenuti dei social media – ritiene che un dittatore al governo sia non solo uno scenario tollerabile, ma addirittura auspicabile, peraltro in un momento in cui i cosiddetti “uomini forti” al potere stanno dimostrando la drammaticità della propria azione politica, che uccide, che distrugge, che violenta, che umilia, credo che faremmo bene a svegliarci dal torpore e dall’illusione di vivere in tempi ordinari e a togliere la Resistenza dalla soffitta impolverata e dalle astrazioni ideologiche per farla diventare, oggi come allora, autentica ispirazione morale del rilancio del nostro Paese, energia popolare, denominatore comune largo ed inclusivo per chiunque si riconosca nell’Italia libera e democratica, accogliente anche nei confronti di chi da questo modello si sta allontanando, per disillusione, per ignoranza, per tutto ciò che, forse, può ancora essere rimediato. Con lo stesso atteggiamento inclusivo della nostra splendida Costituzione, così solida nei principi di libertà e democrazia da non temere, come ha ricordato il Presidente Mattarella, che nel Parlamento sedessero anche persone che la avversavano nei suoi fondamenti, rimanendo in tal modo fino in fondo fedele a se stessa e, oggi, riferimento possibile e necessario anche per quelle culture politiche che allora non contribuirono alla sua scrittura”.
No si può ridurre il fascismo ad un’opinione tra le tante
“Eppure, ancora oggi, questa giornata, questa Festa della Liberazione dal giogo del nazifascismo, troppo spesso risulta svilita da divisioni, da polemiche ricorrenti che paiono ormai ontologiche, come regola consuetudinaria che la coscienza collettiva ha ormai accettato remissivamente. Una festa mutilata, ostaggio di una memoria che non riesce ad essere realmente condivisa, tra chi tende a ridurre il fascismo ad un’opinione tra le tante, dimenticando o deliberatamente ignorando che esso fu invece, semplicemente, un atroce crimine contro l’umanità e chi dall’altro lato tende a voler imporre una riduttiva visione identitaria del 25 aprile, in una logica di appropriazione morale della Liberazione che oltre a non rispecchiare fedelmente la verità storica dei fatti, contribuisce a scavare un solco escludente nei confronti di tanti che oggi vorrebbero condividerne i valori senza tuttavia correre il rischio di essere intruppati in territori politici in cui non si riconoscono”.
La responsabilità di ogni di noi
“Ne perisce – ha concluso Bergamaschi - in tal modo l’universalità e la profondità di ciò che la Liberazione ed i suoi valori rappresentano: la radice della nostra convivenza democratica, il punto di svolta e di riscatto di un popolo che ci ha restituito un’idea di civiltà dopo gli abissi dell’autoritarismo fascista, della persecuzione razziale, della negazione delle libertà fondamentali. Ottant’anni dopo l’eredità che giunge da quel tempo ormai lontano non è solo da custodire: è da vivere. Perché la libertà non è un evento compiuto, ma un’architettura sociale tanto bella, quanto fragile, che necessita di periodica manutenzione, che richiede ogni giorno cura, attenzione, coscienza, scelta di campo. Un campo largo, larghissimo. Una prateria fertile e sconfinata abitata da una moltitudine di persone libere e democratiche, capace di spingere la steppa fredda e arida dei fascismi di ogni risma ai confini più remoti della geografia politica. Resistere, oggi, significa innanzitutto non voltarsi dall’altra parte di fronte ai razzismi che riaffiorano, alle disuguaglianze che dividono, ai linguaggi che banalizzano l’odio. Un compito alla portata di tutti e di ciascuno una responsabilità. Un omaggio necessario a quanti scelsero la parte giusta della storia, a chi perse la vita per difendere quella altrui, a chi rifiutò il conformismo della violenza per abbracciare la forza della giustizia. Oggi, come ieri, lo possiamo e dobbiamo gridare: Viva il 25 aprile, Viva la Costituzione, Viva la Repubblica Italiana!”.