In una di quelle giornate terse, luminosissime, col cielo azzurro punteggiato di nuvole veloci, la sala dei Ricevimenti del Comune di Crema non ha potuto contenere tutte le persone arrivate per l’ultimo saluto a Maurizio Noci. Saluto civile, laico. Uomo appassionato, sanguigno, sapeva misurare l’attacco e la difesa. Se il tema era politico attaccava modulando le parole con soffusa dolcezza. Non compiva mai un giro intero, non era tipo da menar il can per l’aia. Aggirava circospetto l’interlocutore avvicinandosi al nocciolo della questione, prima di lanciarsi come un fulmine dritto al punto, seguito da una voce tonante che sbalordiva anche il politico più preparato. Aveva occhi di fuoco, ardeva di feroce passione socialista. Quella che come suo zio – trattenuto ogni volta che in città passava Farinacci - aveva profonde radici nell’anarchia. Era quello che si dice un hombre vertical. No, il compromesso non era il suo forte. Ma la politica, l’arte dell’impossibile, il suo pane quotidiano.
Un’unica fede: il socialismo
Come ha mirabilmente ricordato Virginio Venturelli nel suo approfondito e articolato ricordo, “ha vinto e ha perso ma non ha mai rinnegato la sua fede, non ha mai cambiato casacca”. Nemmeno quando sarebbe stato facile scaricare su altri il peso della sconfitta. Noci è sempre stato dalla stessa parte e soprattutto – è sempre Venturelli, lui seguace di Lombardi, a ricordarlo – ha sempre vinto, da Nenni a Craxi, col quale aveva un rapporto diretto, sintonico, di lunga data. Tanto forte da resistere alle avversità dell’esistenza, esilio compreso. Era antifascista nei fatti - non a parole come tanti, forse troppi - e “a comunista”, con quella ‘alfa privativa’ che voleva significasse privo di qualunque possibilità di commistione. Amava ripetere che gli ‘ex comunisti’ e i democristiani di ogni epoca gli avevano spesso dovuto rendere il merito della storia: ‘alla fine abbiamo ragione noi. Anzi, a dire il vero l’abbiamo sempre avuta’.
La schiena diritta
Non amava le imposizioni, le maschere, i finti pudori, le ipocrisie. Noci è stato più di un simbolo per il socialismo cremasco. Ne ha incarnato le esigenze organizzative. L’ha portato dai semideserti comizi di campagna - con la corrente del microfono prestata dalla trattoria del paese - fino alle celebri stanze dei bottoni. Sempre con la schiena diritta. A testa alta. Preparandosi e lottando per riuscire a migliorare le condizioni della sua città e del suo comprensorio territoriale. Dalla prima giunta di centrosinistra della città di Crema e da sindaco, poltrona che con coraggio ha lasciato per Roma. Alla presentazione del volume Fatti e personaggi del socialismo cremasco, ha voluto lasciare il tavolo per raggiungere il podio. Con la platea della sala Da Cemmo non si è perso in celebrazioni. Ha offerto un chiaro messaggio: “ve lo dovevamo”.
Un esempio
Non sopportava l’esito retroattivo di Tangentopoli e l’ignoranza dilagante secondo cui per la responsabilità di pochi fosse necessario cancellare più di un secolo di lotte e di conquiste. Aveva per la comunità socialista una profonda riconoscenza. Gli piaceva incontrare le persone; pesarle, respirarle. Come molti della sua generazione, aveva sofferto. Conosceva la fatica, per questo era generoso. Conosceva a fondo l’indispensabilità dei gregari, ma sapeva far sintesi. Sapeva prendere decisioni e cosa più importante se ne assumeva la responsabilità. Merce rara già all’epoca. Parlava chiaro, non si perdeva in salamelecchi, non amava le tiritere. Quando stava per perdere la pazienza faceva ricorso al dialetto. Battute feroci, condite da aneddoti senza fine. Tutti, a partire dal sindaco Stefania Bonaldi, hanno citato la sua passione politica ed il suo grande rispetto per le istituzioni: “molti ne parlano come di un politico di razza, un fuoriclasse”. Per Carlo Tognoli – sindaco di una Milano lanciata verso il mondo, prima di conoscere gli abissi giustizialisti di un decennio dopo - era un uomo equilibrato, misurato, un amministratore attento e preparato. Di più: “Era un amico”. Anche Ermete Aiello, figura di spicco del Pci cremasco, ne ha riconosciuto la statura: “per gestione e visione della politica amministrativa non aveva eguali”. Ha portato un saluto anche Fabio Donati, figlio di Donato, una delle figure di spicco del socialismo cremasco e grande amico di Noci. Erano sempre insieme. Loro due, Guido Torriani e Rosario Costi. Presenti con fascia tricolore anche i sindaci Antonio Grassi (Casale Cremasco), Gabriele Gallina (Soncino), Aldo Casorati (Casaletto Ceredano), Gianni Rossoni senza fascia (Offanengo) oltre al presidente della Provincia di Cremona Mirko Signoroni. In sala un gran numero di amministratori ed esponenti politici di ieri e oggi. Anche Antonio Agazzi, capogruppo di Forza Italia, ne ha tessuto le lodi. Sulle note di Bach e Verdi suonate da Alberto Simonetti e Claudio De Micheli il tempo degli abbracci e del commosso saluto. Mao, come lo chiamavano gli amici più stretti, sarà cremato. Riposerà nel cimitero di Crema. Eppure, come hanno ricordato i parenti più stretti e gli amici di una vita, “il suo esempio continuerà ad essere una guida”.