16-12-2014 ore 11:06 | Politica - Crema
di Stefano Zaninelli

Crema. Il rapporto complesso tra lo Stato e le religioni non cattoliche. Il sindaco: "è giunto il tempo di affrontare la questione"

Più che di integrazione sarebbe meglio parlare di inclusione, conoscenza reciproca, convivenza, cittadinanza. Su questo hanno concordato Roberto Mazzola e Daniela Pistillo – rispettivamente docente di Diritto e religioni nei paesi europei e responsabile immigrazione Pd Milano – ieri sera in sala dei Ricevimenti, all’incontro organizzato dal Partito democratico di Crema.

 

Le variabili
“Attraverso quali strategie è possibile garantire l’integrazione della realtà mussulmana all’interno dei paesi membri dell’Europa? Questa - secondo Roberto Mazzola – è la domanda da cui partire. Non c’è una risposta univoca, perché sono diverse le variabili da prendere in considerazione: la normativa sulla cittadinanza negli Stati, la Costituzione, il modello con cui lo Stato regola i rapporti con le religioni, la forma con cui la comunità religiosa si è organizzata sul territorio. Non si può mediare una politica di integrazione senza considerare questi fattori così come sarebbe sbagliato applicare un modello estero”.

 

La formazione religiosa e civica
“Una delle politiche di integrazione più in voga in Europa – ha aggiunto Mazzola – è quella della formazione: in Francia, Inghilterra, Olanda e Svizzera vengono fati investimenti per formare la classe dirigente mussulmana. Si tratta di formazione religiosa e civica. In Francia, ad esempio, alcune università propongono corsi di teologia. In Germania le università pubbliche hanno intere facoltà di teologia. In Inghilterra esistono, invece, le private halls: organizzazioni gestite dalle strutture religiose agganciate alle università; a loro compete formare i quadri dirigenti delle comunità religiose”.

 

Il problema italiano
“In Italia la legge Scialoja Correnti vieta l’insegnamento della teologia nelle università pubbliche. Questo fa sì che manchino i presupposti per adottare strategie simili a quelle degli altri Paesi Ue. Siamo l’unico Paese europeo a disciplinare il diritto di culto con una legge anacronistica del 1929, che nessuno sposa più. Inoltre, le politiche di integrazione dipendono dal modello organizzativo religioso nei confronti dello Stato: solo in Spagna l’Islam ha costituito una rappresentanza unitaria, in grado di stipulare accordi”.

 

Il caso milanese
Come a Crema, anche a Milano il Comune sta destinando aree pubbliche alla realizzazione di luoghi di culto diversi da quello cattolico. “Noi crediamo che il culto sia anche una questione di prossimità – commenta Daniela Pistillo – uno strumento di coesione sociale. Purtroppo, ci siamo accorti che è più facile trasformare un capannone in un supermercato che in un luogo di culto”.

 

I modelli di gestione
Sono tre i modelli elencati da Daniela Pistillo per la gestione dei luoghi di culto in sinergia tra amministrazione e comunità religiosa. Il primo è l’accordo con gli stati stranieri, come avvenuto per la moschea di Roma. Il secondo modello contempla l’investimento comunale, affinché l’ente locale detenga il controllo sul luogo di culto. Oppure la sinergia di gestione tra associazioni religiose ed amministrazione.

 

La questione cremasca
“Io preferisco parlare di interazione – conclude il sindaco, Stefania Bonaldi – perché rende l’idea di due eguali dignità che dialogano. Noi, ora, diamo per acquisito un diritto e cerchiamo di inquadrare il tema ai sensi della Legge regionale 12. Ci poniamo in un atteggiamento di rispetto verso le 1500 persone a Crema che provengono da paesi a matrice mussulmana. È un tema faticoso, scomodo per un amministratore, ma è giunto il tempo di assumere decisioni di questo tipo”.   

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