Un incontro basato sul dialogo, voluto per costituire la cultura dell’integrazione di popoli diversi, al di là del proprio credo religioso. Questo pomeriggio, la sala Pietro da Cemmo ha ospitato “Islam e Cristianesimo. Tra fondamentalismo e integralismo”, conferenza pubblica organizzata da Giuseppe Torrisi, consigliere comunale del gruppo Fratelli d’Italia Crema. Il direttore del quotidiano La Provincia Paolo Gualandris, ha moderato i relatori: il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti, Nia Guaita, sociologa ed esperta del terrorismo di matrice islamica, Marco Baratto, esperto del dialogo interreligioso e di Islam in Italia e Youssef Zahir, presidente dell’associazione il “Dialogo culturale il futuro” nonché portavoce e socio del direttivo dell’istituto Elbayan per l’istruzione, cultura e scienze. Presente in sala anche il senatore Renato Ancorotti per un saluto: “Siamo qui per trovare soluzioni tra le due religioni più importanti al mondo, sono convinto che il problema sia di matrice culturale, perciò servono iniziative come questa”.
L’intesa tra Italia e Islam
Secondo l’esperto Baratto oggi è necessario fare una distinzione: “come Italia, ci siamo sempre approcciati con una visione di voler creare un Islam italiano, ma dobbiamo lavorare per un Islam in Italia, sono due concetti radicalmente diversi. Nel nostro Paese non siamo mai riusciti a firmare un’intesa, si è voluto chiedere di nominare un’unica rappresentanza: questa via è impossibile. Lo Stato deve avere il coraggio di stipulare intese con le varie denominazioni dell’Islam. Abbiamo il modello dell’Istituto Mohammed 6 per la formazione degli imam predicatori e predicatrici, che funziona benissimo, quindi serve solo seguire questo modello. Il nostro problema è partire dal presupposto che non si conosce, non vogliamo studiare culture diverse dalla nostra”. Di parere contrario l’onorevole Foti: secondo lui se non si è mai arrivati ad un’intesa è solo perché l’Islam non l’ha mai voluta, “al suo interno alcune divisioni ne vogliono il riconoscimento altre invece no. Di questa religione se ne fa un uso politico che ha portato a situazioni non commendevoli”.
Convivenza pacifica
Di pensieri contrastanti è la dottoressa Guaita, secondo lei, al giorno d’oggi, si parla di “integrazione”, ma preferisce riferirsi ad una “pacifica convivenza tra popoli e religioni diverse”. Per l’esperta di terrorismo il termine integrazione significa “accettare e seguire le leggi del popolo ospitante, una terminologia che non posso sposare per le discriminazioni che ci sono nella sharia. La maggior parte dei musulmani sono persone oneste che accettano le leggi del paese in cui vivono, ma mantengo all’interno del loro gruppo la legge della sharia. Va bene la condivisione tra popoli pacifici, ma non accetterò mai che un popolo imponga le sue leggi all’interno di una nazione occidentale che ha leggi emanate democraticamente”. A non trovarsi d’accordo con i pensieri di Gauita è Youssef Zahir. “Non cerchiamo integrazione e inclusione sociale, siamo già cittadini italiani, noi abbiamo dato la nostra vita all’Italia. I musulmani fanno parte storicamente, culturalmente ed economicamente della Nazione. Quando la dottoressa Guaita parla di Shahira lo fa solo per creare il panico, questo termine significa ordini di Dio”.