31-03-2024 ore 19:00 | Cultura - Incontri
di Paolo Emilio Solzi

Francesco Zanelli, patriota per la libertà, innovatore per l’agricoltura, sindaco di Chieve

Presso la Sala dei Ricevimenti del palazzo comunale di Crema il pubblico attende informazioni su un libro dal titolo intrigante: Francesco Zanelli, un patriota per la libertà, un innovatore per la terra, un sindaco per Chieve. L’autore Lino Tosetti è seduto al centro di un tavolo di tutto rispetto. Vincenzo Cappelli, presidente della Pro Loco di Crema, co-promotore della pubblicazione, presenta Giorgio Zucchelli, direttore del Nuovo Torrazzo, che pure ha contribuito con il Centro Editoriale Cremasco; Flavio Barozzi, presidente della Società Agraria di Lombardia – impegnata fin dal 1861 nel promuovere il progresso scientifico nell’agricoltura – che ha concesso il patrocinio alla manifestazione; Pietro Martini, ricercatore storico.

 

Sindaco avveduto

La parola passa a Tosetti, visibilmente emozionato nello svolgere il suo discorso su un testo di circa 500 pagine, che gli è costato almeno sette dei dieci anni di lavoro (2012-2022) per comporre due libri: uno dedicato ad Antonio Zanelli e l’altro al fratello Francesco. Di quest’ultimo, vissuto fra il 1827 e il 1883, evidenzia anzitutto l’attività di sindaco, riconfermato nel suo paese natale di Chieve per ben cinque mandati di tre anni ciascuno fra il 1863 e il 1878. Allora la carica di sindaco era conferita con regio decreto, discendeva quindi “dall’alto”. Del resto solo recentemente è divenuta a pieno titolo carica elettiva “dal basso”. In qualità di capo di un ente locale e funzionario di governo, Zanelli si prodigò per migliorare la vita dei concittadini. In particolare si occupò di istruzione e sanità.

 

Quando non c’erano maestri

Nel primo ambito, concentrò l’attenzione sull’istruzione elementare, che a partire dalla legge Casati del 1859 era divenuta obbligatoria e gratuita. Mancavano insegnanti all’altezza del ruolo, e anche Zanelli ebbe a che fare con il delicato problema, intervenendo ad avviare verso pensione anticipata, dopo solo trent’anni di insegnamento, un maestro non adeguatamente preparato, e convincendo a lasciare la scuola una maestra ancor meno qualificata. Il sindaco si interessò poi di scuole serali e festive per adulti e per fanciulle di età superiore ai dodici anni. Fece pure costruire un nuovo edificio scolastico e fu artefice di una risistemazione della piazza su cui affacciano uffici comunali e chiesa, secondo uno schema rimasto invariato fino al 2018, quando fu ricostruito il sagrato. Purtroppo la sua intensa attività gli valse una lite giudiziaria con il parroco. La sottoprefettura, intervenuta a sedare la contesa, stanziò a carico dell’amministrazione comunale 130 lire di indennizzo a favore del parroco che ne chiedeva 400. Zanelli riuscì ad evitare l’aggregazione di Chieve a Casaletto Ceredano, come avrebbe previsto la legge che stabiliva venissero uniti i Comuni con meno di 1500 abitanti: nel 1865 Chieve ne contava 934 e Casaletto 1127.

 

Quando c’erano le levatrici

Nel secondo ambito, quello della sanità pubblica, Zanelli intervenne per risolvere il problema della condotta ostetrica comunale, prevedendo la presenza di una levatrice. Veniamo poi a sapere che la trisnonna di Tosetti esercitò a Chieve quel prezioso mestiere, fonte di ispirazione per i figli, specie se maschi. Come dimenticare l’attinenza della maieutica di Socrate con il lavoro di levatrice della madre Fenarete?

 

Agronomo innovatore

Tosetti analizza quindi l’innovazione promossa da Zanelli nell’organizzazione dell’agricoltura, settore cruciale dal punto di vista economico e demografico. Insieme al miglioramento delle condizioni sanitarie, infatti, anche il buon andamento delle colture contribuisce a limitare l’emigrazione e promuovere un benessere generalizzato. Il sindaco non trascurò l’aspetto antropologico della saggezza contadina, ricordando negli articoli composti per riviste come il Bollettino agrario di Milano che è “meglio fringuello in man, che in tasca tordo”, variante leziosa del “meglio un uovo oggi che una gallina domani”. Concentrò inoltre il proprio impegno attorno al tema delle vacche da latte, sostenendo che si dovessero preferire le svizzere e le olandesi, anticipando la successiva diffusione della frisona, e dedicando alla zootecnia un’opera specifica per dimostrare la convenienza che quei bovini passassero dal regime “nomade” a quello “stazionario”. Ciò comportava l’aumento delle praterie, e i prati furono arricchiti con il trifoglio, diffuso nel lodigiano ma non altrettanto nelle nostre campagne.

 

Il trifoglio ladino e il patriota per la libertà

E qui arriviamo al significato dell’immagine di copertina: quel trifoglio ladino o bianco lodigiano, il Trifolium Repens, che con le sue tre foglie allude ai tre aspetti essenziali della vita di Francesco Zanelli: “sindaco avveduto, agronomo innovatore, coraggioso patriota”, per dirla con Pietro Martini, ultimo relatore dell’incontro. Con la capacità che lo caratterizza di illustrare argomenti complessi attenendosi ai tempi a disposizione e mantenendo desta l’attenzione della platea, Martini affronta l’aspetto di Zanelli patriota spiegando il “patriota per la libertà” del sottotitolo. Nel 1847, a vent’anni, studente a Pavia, Francesco coltiva ideali di forte italianità, tanto che poi a Milano viene arrestato in quanto “facinoroso e mal intenzionato”. Liberato durante le Cinque Giornate, non torna a casa, anzi si arruola fra i volontari, approfittando del fatto che il governo di Lombardia stesse creando due battaglioni nei quali entravano anche studenti. In uno scontro a fuoco a Pietole (in provincia di Mantova), pur essendo male in arnese, i giovani mantengono la posizione e si comportano in modo onorevole. Perché mai, si chiede il relatore, questo patriota per la libertà decide di combattere contro gli austriaci, che in Lombardia si erano meritati fama di buon governo? In fin dei conti non siamo nel regno delle tre effe, Farina, Feste, Forca, regola del cattivo governo dei Borbone (va detto che non tutti i Ferdinandi furono furfanti folli forcaioli, ed ebbero più tardi anche una quarta effe: Ferrovie, ma tant’è…). Insomma, quei ragazzi che, anziché starsene tranquilli alla finestra ad aspettare di aggregarsi al vincitore, si buttarono in guerra con entusiasmo libertario, avevano sentimenti e modelli comportamentali improntati a ideali generosi, non consumistici o utilitaristici. Lo sfondo culturale del positivismo accentuava la fiducia nel progresso e incoraggiava speranze di benessere. Tuttavia Francesco non rimase un giovane sognatore e, divenuto adulto, trasferì l’impegno su un altro terreno. Abbandonato il velleitarismo repubblicano, realizzò che se il cimento era “fare l’Italia”, o la si fa con le istituzioni, o non la si fa. Così divenne quel pubblico ufficiale di nomina regia che abbiamo già conosciuto. Sulle sedie della sala, però, c’è un quadrifoglio. La quarta foglia porta scritto: grazie. Ci porterà fortuna?

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