30-11-2023 ore 20:05 | Cultura - Proiezioni
di Paolo Emilio Solzi

La Ballata dell’Usignolo e del Serpente, nel prequel di Hunger Games la storia di Snow

Seguirò il consiglio della coprotagonista Lucy Gray Baird e non vi mentirò: ero scettico verso questo film. Malgrado, un decennio fa, avessi apprezzato la vecchia quadrilogia di Hunger Games (specialmente i primi due capitoli), non ero sicuro di andare a vederlo. Troppe volte, di recente, ci siamo sorbiti sequel o prequel orrendi, inutili, sbucati dal nulla molti anni dopo l’ultimo episodio di saghe ormai dimenticate. Sono maldestri tentativi di resuscitare serie o personaggi fuori moda e fuori epoca, che non hanno più niente da dire; oppure becere operazioni commerciali per continuare a spremere storie ammuffite da tempo immemorabile.

 

Gli Snow si posano in cima

Alla fine ho ceduto, complici le recensioni positive che avevo letto. Sono andato al cinema e non me ne sono pentito. Il quinto episodio di Hunger Games non solo è godibile (se la durata di due ore e mezza non vi spaventa) ma per certi aspetti è superiore alle pellicole precedenti. La Ballata dell’Usignolo e del Serpente, tratto dall’omonimo romanzo di Suzanne Collins, è ambientato 64 anni prima degli eventi del primo capitolo. E, come il libro, ha per protagonista il personaggio forse più carismatico della saga: il cattivo. L’anziano presidente Coriolanus Snow, che un decennio fa era interpretato dal magnifico Donald Sutherland, nella Ballata dell’Usignolo e del Serpente è ancora uno studente. Una sorta di Draco Malfoy, il rampollo di una ricca famiglia di Capitol City caduta in disgrazia. La posizione privilegiata dei suoi avi è sottolineata dal loro motto: “Gli Snow si posano in cima”, come la neve che copre tutto. Coriolanus frequenta le accademie più prestigiose, ma solo grazie alle borse di studio. Appartiene comunque all’élite di Capitol City, ed è circondato da damerini ipocriti, sprezzanti, classisti e viziati, convinti che “l’abito non fa il monaco, ma quasi”. Infatti i suoi vestiti da finto ricco vengono visti come un bluff.

 

La perfezione espressa dal bianco

Coriolanus porta sempre all’occhiello una rosa bianca, come quella che appariva nel quarto film, accompagnata dalle parole: “Quella è molto bella! I colori delle rose sono splendidi. Ma nulla esprime la perfezione come il bianco”. Il futuro tiranno Snow (nomen omen) è simile alla neve: bianca e pura, ma di una freddezza glaciale. Alcuni temevano l’operazione simpatia: la solita storia retorica e giustificazionista, trita e ritrita. Quando i cattivi diventano protagonisti, per raccontarne le origini, vengono spesso riabilitati, deresponsabilizzati in modi assurdi, forzati e banali. Tutto perché il pubblico difficilmente digerirebbe un protagonista malvagio per natura (o almeno così sembrano credere i produttori di Hollywood). Ecco dunque l’ultima moda cinematografica: i cattivoni dei film americani diventano tutti dei santi che un mondo crudele, un’infanzia difficile, una delusione d’amore, i poteri forti o il capitalismo hanno reso persone ciniche e vendicative. Non è questo il caso. I semi della spietatezza del dittatore di Capitol City sono già presenti nel ragazzo, anche se non germogliano nella prima parte del film.

 

Non mentirci mai a vicenda

La pellicola, come il romanzo, è strutturata in tre parti: il Mentore, il Premio, il Pacificatore. Non era possibile far ruotare, per la terza volta, tutta la trama intorno agli Hunger Games. Sarebbe stata una minestra riscaldata, piuttosto avariata dopo tanti anni. Così, mentre i primi due atti sono dedicati alla decima edizione dei giochi (che peraltro si svolgono in versione primitiva), il terzo atto intraprende una strada piacevolmente nuova. Cambiano l’atmosfera e lo stile narrativo. Snow cresce e si evolve. Il ritmo accelera – per alcuni troppo – soprattutto nella conclusione. Capitol City non è la metropoli futuristica a cui siamo abituati. È devastata dalla guerra conclusasi da poco. L’aspetto delle piazze, degli edifici e dei treni ricorda la Russia post-sovietica. La grandeur è ancora lontana. Lo vediamo dall’arena ristretta e fatiscente degli Hunger Games, forse ispirata al Colosseo. I protagonisti sono giovanissimi, ma La Ballata dell’Usignolo e del Serpente esplora temi più profondi rispetto ai suoi predecessori (che si rivolgevano a spettatori adolescenti). Alla regia torna Francis Lawrence, che ha diretto l’intera saga di Hunger Games tranne il primo film. Le musiche restano di James Newton Howard, e finalmente scopriamo chi ha composto la canzone dell’Albero degli Impiccati, cantata da Katniss Everdeen. Nelle battute dei personaggi troviamo altri evidenti echi del passato (anzi, del futuro, trattandosi di un prequel). Ricordiamo l’ultima frase pronunciata da Snow nel Canto della Rivolta: “Cara signorina Everdeen, credevo che l’accordo fosse di non mentirci mai a vicenda”.

 

Una possibile chiave di lettura

La storia di Hunger Games si sviluppa in un Nordamerica post-apocalittico, nella nazione di Panem. Suzanne Collins ha preso spunto dall’espressione latina Panem et Circenses, con cui Giovenale indicava “il pane e i giochi da circo” che tenevano a bada la plebe romana nell’età imperiale. Come nell’antica Roma, i cittadini si dividono in patrizi e plebei. La borghesia di Capitol City è convinta che gli abitanti dei dodici distretti – un’allusione alle province dell’impero – siano tutti selvaggi, bifolchi, ribelli e pericolosi. Non a caso, questi ultimi portano spesso i nomi di piante (ad esempio Katniss Everdeen), animali e oggetti, mentre i potentati della capitale hanno nomi da antichi romani: Cesare, Seneca, Plutarco, Claudio, Cinna, Volumnia e il presidente Coriolano. Ecco perché i romanzi di Suzanne Collins – e di conseguenza i film – sono stati interpretati come una critica al passato coloniale degli Stati Uniti, accostati metaforicamente all’Impero Romano.

 

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