29-07-2021 ore 17:48 | Cultura - Teatro
di Gloria Giavaldi

La sfida della compagnia Treatro: recitare per raccontarsi. 'Sul palco siamo noi stessi'

Ha esordito sul palco lo scorso giugno con lo spettacolo di Harold Pinter il Calapranzi, la compagnia Treatro composta da Elisa Tagliati, nei panni di regista, Giancarlo Molaschi e Fiorenzo Gnesi nei panni di Ben e Gus. “Siamo nati nel 2020: siamo nuovi di pacca”. Si grattano il capo Fiorenzo Gnesi e Giancarlo Molaschi e ritrattano: “meglio, siamo lavati con Perlana. Io – spiega Gnesi- faccio teatro dal 1971, ma forse per la prima volta non mi sono trovato ad interpretare una parte”. Piuttosto a dare voce ad una parte di se stesso. “Gus, il mio personaggio, è quello che rompe le regole. A me è sempre piaciuto dire ciò che penso. L'ho sempre fatto in ogni contesto e nel corso di diverse esperienze professionali. Ho sempre cercato di non accettare le regole per quel che erano, le ho sempre messe in discussione”. Anche se erano poste dal potere “un'entità riconosciuta in quanto tale”. Sul palco Fiorenzo si è ritrovato. “Non mi sono sentito nelle mani di qualcuno, piuttosto materia da plasmare per dare forma a qualcosa di più bello”. Di condiviso.

 

'Teatro è autenticità'

“L'evoluzione dei personaggi – precisa Elisa Tagliati – non era precostituita. È giunta dal loro desiderio di mettersi in gioco ed in discussione. Quello che ho cercato di fare, da neofita del teatro, è stato aiutarli ad ascoltare le loro intenzioni e a portale sul palco. Per me il teatro è autenticità. È l'incontro tra l'interno e l'esterno, è un mezzo artistico per indagare se stessi e il mondo”. In questa logica “l'attore è un canale che unisce una ricerca interna e la restituisce all'esterno attraverso voce, corpo, spazio”. Da scultrice a regista, da regista ad artista e danzatrice, “con l'arte voglio dire qualcosa. Metto in scena una mia emozione che poi diventa di tutti. Si realizza uno scambio, nascono domande e la mia rappresentazione è piena di senso. Non mi piace il teatro abitato dai vestiti al posto giusto, quello leggero ma vuoto, preferisco cercare e generare contenuto. Ho qualcosa da dire e lo voglio dire nel modo migliore”.

 

Ascoltarsi

Gli attori non sono pedine. “È il teatro a dover essere a servizio delle persone. Non deve valere assolutamente il viceversa. Ho la sensazione che molti registi, al contrario, violentino gli attori, usino le persone a servizio del teatro. C'è la tendenza a tirar fuori cose che non ci sono, ma un contenitore vuoto resta tale, anche se bello”. Spogliarsi, mettersi a nudo, resta la sfida migliore di tutte. “Ho sempre desiderato – interviene Molaschi – recitare questo testo. Sono felice di essere riuscito a farlo con questa compagnia. Interpretare Ben è stato arduo. Inizialmente avevo delle perplessità, poi tutto ha preso forma semplicemente ascoltando ciò che volevo trasmettere. Del resto, il teatro è emozione, è il luogo dove la finzione diventa più vera del vero”.

 

Scambio di sguardi

Dopo le prove online, il distanziamento, la mancanza di scambi “sul palco avevo la percezione di avere il pubblico in mano” ammette Molaschi. “Recitavo, raccontavo chi ero, certo avvertivo la distanza. Il teatro è incontro di sguardi e le mascherine non aiutano”. “Ho avuto l'impressione, tuttavia – sembra rispondergli Gnesi - di poter cogliere la reazione del pubblico, anche se meno evidente e rumorosa”. Si infilava tra gli spazi ed i silenzi di un testo che chiede “di essere analizzato continuamente”. “Il nostro – riprende e conclude Tagliati – non è altro che un inizio. Dovremo continuare ad interrogarci per riempire di contenuto ogni contenitore, facendo nostra l'energia del pubblico, che si respirava, nonostante tutto”.

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