Mi chiamo Shamsia Hassani. Sono afghana. Ho studiato arte all’Università di Kabul e sono divenuta associata di scultura presso la stessa Università. Questo fino al dicembre 2021. Ora sono costretta a vivere nascosta a causa della mia attività di street writer attraverso cui mi batto a favore dei diritti negati alle donne nel mio Paese. Anche se i miei murales vengono costantemente cancellati dalle autorità, continuerò ad impegnarmi. E anche se non posso essere presente fra di voi per parlarvi, i miei dipinti parleranno per me, e tutti mi comprenderete grazie all’esperanto dell’arte.
Chi accenderà la musica?
Come vedete, il mio viso è triste perché hanno tappato la bocca a me e a tutte le altre donne. Il mondo intero gronda sangue se anche un solo essere umano è privato della libertà. Quelli che erano papaveri si sono tramutati in macchie di sangue. Ci fu un tempo in cui la musica allietava la mia vita, ma ora anche questo mi è negato. Non resta che il pianto segreto dell’animo. A volte mi sento travolta dalle macerie di una civiltà sommersa di cui affiorano solo fredde pietre. I tasti del piano, anch’esso violato, sono scomposti, e da quelle fessure si sprigiona un volo di mostri neri che annunciano altre sciagure.
Lungo un sentiero interrotto
E pensare che prima la musica sapeva consolarmi ed aprirmi orizzonti sconfinati. Le note erano altrettanti squarci di un panorama che andava allargandosi. Anche in questo momento buio intravedo grazie alla musica una strada che, pur dissestata, potrebbe ricondurmi verso il sogno di una piena libertà. Con me condurrò le sorelle dolenti a cui mostrerò il cammino con i miei colori. Insieme ricostruiremo tastiere bianche e nere per un pianoforte a coda, e nuovi incontri fra esseri umani dialoganti. In quella Città invisibile non dovrò più nascondere i miei strumenti musicali. Arriverò con la mia fragile barca e il fiore luminoso del mio pensiero. Vi mostrerò la bellezza dei luoghi dove sono nata, e come anch’essi custodissero tesori d’arte ornati di finissime decorazioni. Contro gli aerei della guerra lancerò il mio aeroplanino di carta che riempirò del profumo dei fiori. Vi prego, non lasciatemi sola su questo sentiero interrotto, in preda all’incubo della schiavitù.
Parlare senza voce, vedere ad occhi chiusi
Non lasciate che quei tesori vengano fatti a pezzi. I soffioni che dipingo simboleggiano i sogni delle donne, che nella mia realtà uomini armati tentano di distruggere, senza riuscirci perché quei fiori così delicati rimangono intatti e spargeranno i loro semi. Se al posto della mia chitarra è nata un’arma di morte, sappiate che c’è tanta povera gente che aspetta il vostro aiuto. Mi nascondo, ma qualcuno si sta già accorgendo di ciò che faccio. Donne, bambini, sembrano indifferenti ma osservano e riflettono. Esistono luoghi segreti dove ritrovarsi, dove cercarsi e far nascere una solidarietà preziosa. Il mio stile è la mia carta d’identità. Se volete, mi potrete raggiungere. Ascolterete le mie note stonate perché la tastiera è infranta, ma comprenderete lo stesso. Saprò combattere contro gli incubi e i mostri. Ho ancora un cuore vivo. Posso parlare anche se non ho più voce e vedere anche se i miei occhi sembrano chiusi. Suonerò dal bunker della prigionia, e anche se dovessero germinare altri carnefici, è già nato un embrione di vita affrancata dal terrore.