29-01-2018 ore 11:20 | Cultura - Proiezioni
di Giancarlo Alviani

Chiamami col tuo nome, gioia per gli occhi e per il cuore. Attesa, ricerca e dono prezioso

Storia di un'educazione sentimentale, di un'attesa, di una ricerca, di due passaggi. I giochi d’amore sono una cosa seria e anche un adolescente può, purtroppo, conoscere il dolore lancinante del proprio cuore infranto. Più che su una vicenda, il film di Luca Guadagnino è fondato su una situazione. Elio, interpretato così bene da Timothée Chalamet, attraversa il film come un arcobaleno riesce a completare la propria curvatura senza timore della pioggia. La leggerezza del tocco di Guadagnino ha sfrondato quei risvolti della sceneggiatura, scritta in prima battuta dal solo James Ivory, che forse avrebbero depotenziato quel senso rarefatto di quando un impulso sta per esondare in sentimento conscio.

 

Le suggestioni estetiche

La società italiana, nel film, rimane sullo sfondo attraverso caratteri e personaggi dell’elegante paesaggio cremasco, esaltato dalla fotografia calda del tahilandese Sayombhu Mukdeeprom dove la luce evoca il lavoro di Ennio Guarnieri ne Il Giardino dei Finzi Contini e molta pittura di Matisse. Non so se o quanto Bernardo Bertolucci consideri Luca Guadagnino suo erede artistico, di certo Guadagnino le suggestioni estetiche del regista parmigiano le evoca con grande maestria.

 

La crescente intimità

Come in Io ballo da sola succede tutto d’estate. In una calda campagna intellettuali colti, modaioli attempati, e giovani adolescenti si incontrano in una magione borghese crocevia di stati d’animo, attese e scoperte. Come Lucy il protagonista di Call me by your name non ha ancora scoperto appieno il valore educativo del proprio padre. Mentre ascolta il walkman, scrive brevi pensieri, tratteggia idee, abbozza desideri nell’inconscia speranza che possano essere letti, scoperti, ma soprattutto capiti. Il tutto armonizzato dalla semplicità del pop anni 80, intrecciato a vibranti partiture che ricordano l’Assedio e ad atmosfere evocative de L’ultimo Imperatore. Il climax dell’intimità ha inizio con Elio che scruta Oliver, proprio come Port osservava Kit dormire dalla porta comunicante delle loro camere ne Il thè nel deserto. C’è però in Guadagnino, diversamente da Bertolucci, un ben più riuscito approccio all’archetipo paterno.

 

Un dono prezioso

Non è mai cosa semplice fermarsi a riflettere, confrontarsi con qualcuno e fare il bilancio di un’esperienza che ha lasciato il segno; ogni riflessione porta con sé amarezza, disillusioni, mete svanite, occasioni sprecate, un passato prossimo che appare già remoto. Se si è fortunati, però, si deporranno i semi per una nuova rinascita, che si accompagnerà ad una vera maturità. Il prof. Perlman, papà di Elio, riesce a trovare il momento migliore per dire al figlio quanto sia profondamente dalla sua parte e di come la relazione tra lui e Oliver sia di fatto un dono prezioso. L’auspicio a cui il regista aspira è descritto in questo: l’accettazione completa di un figlio da parte di un padre. La pellicola si conclude su un primo piano di Elio mentre agisce la disperata metabolizzazione di un abbandono, quando lui stesso era ormai diventato Oliver e Oliver diventato Elio. Da un punto di vista squisitamente tecnico il film è una gioia per gli occhi, da un punto di vista estetico lo è invece per il cuore.

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