Per tutta la durata del film Conclave emerge un’umanità fastidiosa, irritante, incomprensibile, inaccettabile, grottesca, insensibile, a tratti persino banale. Delle questioni “tutte umane” della chiesa cattolica la storia da secoli ci ha raccontato e quindi siamo per lo più tutti a conoscenza delle ombre che hanno accompagnato l’evolversi di questa istituzione nel mondo, facendosi essa assai spesso assorbire dalle dinamiche becere del mondo.
Intricato intreccio
La luce è assente in questo film osannato e apprezzato dalla critica di oltre oceano, l’isolamento scuro cui sono costretti i cardinali riuniti per l’elezione del nuovo papa ci avvolge. Entriamo anche noi dentro Santa Marta, perfino nella Cappella Sistina, prendiamo posto accanto a questi porporati, e siamo chiamati (paradossalmente) anche noi a scegliere a chi destinare il nostro voto; chi ritenere degno di occupare la sede vacante che renderà quell’uomo parte della storia, per sempre. La storia del film è un intreccio intricato di scelte ed errori, di ambizioni e desideri, di peccati e di colpe inconfessate.
Mancanza di luce
E di fronte a questa umanità così lacerata e laccata, di cui a tratti pare sentirsi la puzza che emana da queste anime che per troppo tempo hanno nascosto il loro lento marcire, si avverte l’assenza di aria, viene a mancare l’ossigeno e il quadro che ci viene rappresentato non ha nulla a che vedere con la bellezza delle pitture della Cappella Sistina. C’è solo un attimo in cui la luce penetra nel luogo dove sono riuniti i cardinali, ma è una luce che entra violentemente (come spesso agisce lo Spirito di Evangelica memoria) determinando in loro anche delle ferite, una luce che vuole scuoterli, vuole provare a farli emergere dall’abisso in cui si trovano a sprofondare.
Chi avrei ritenuto degno?
La sceneggiatura del film tratta dall’omonimo romanzo di Robert Harris personalmente non mi ha convinto, né emozionato né entusiasmato caratterizzato da troppi luoghi comuni. A mancare è il dissidio interiore che solo una visione divina probabilmente avrebbe potuto determinare. Mi è dispiaciuto anche vedere un Sergio Castellitto esagerato, sopra le righe in maniera a mio avviso poco credibile (scelta di regia?) a cui fanno da contro altare Ralph Fiennes (il decano Lawrence) e Isabella Rossellini (Sorella Agnes) che pur “recitando una parte” mantengono il contegno decoroso che gli è stato affidato. Mi rendo conto di quanto il potere in tutte le sue dimensioni ed espressioni rappresenti un cibo appetibile per ogni uomo. Forse sarebbe stato più incisivo rappresentare il dramma che vivono “gli uomini di Dio” quando devono competere con le loro ambizioni, ascoltando la voce di Colui che dice “Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti”. Ancora oggi, dopo giorni dalla visione del film, mi sto chiedendo: ma io per chi mai avrei votato? Chi avrei ritenuto degno?