27-12-2023 ore 14:28 | Cultura - Libri
di Patrizia de Capua

Lo Spirito del Natale aleggia su Crema nel libro di Vincenzo Cappelli pubblicato dalla Pro Loco

Non una vana geremiade sul fascino del tempo che fu, condita con sterili lamentazioni sul presente consumistico e retorici propositi su un futuro di rinascita. Piuttosto una rivisitazione del classico Canto di Natale, senza Cattivo da redimere né Fantasmi da gestire durante notti insonni. È l’ultimo libro di Vincenzo Cappelli pubblicato a cura di Franco Bianchessi nelle edizioni Later per la Pro Loco: Il Natale nella tradizione di Crema e del Cremasco. Titolo che rende conto solo in parte del contenuto, arricchito da un opportuno inquadramento storico. Il Natale viene collocato fra le festività pagane legate al ciclo della natura, importate dal cristianesimo, fin dai primi secoli dell’era volgare, all’interno della propria dottrina e della tradizione religiosa. Sarà il secolo dei Lumi, il XVIII, a sancire che quel giorno 25 dicembre si consolidi come momento di sostegno e carità verso i poveri. Il Natale di cui si parla nel libro, inoltre, non si esaurisce nella giornata che ne porta il nome, ma abbraccia un intero mese: inizia con Santa Lucia e chiude, come da motto in rima, con l’Epifania, che tutte le feste le porta via. Calcolando l’Avvento, poi, dura anche di più, visto e considerato che quel periodo occupa da solo quattro settimane prima del Natale.

 

Lo Spirito del Natale Passato…

Il Natale narrato con maestria dal professor Cappelli è quello dello Spirito del Natale Passato, quando, appena usciti dalla guerra, tutti desideravano solo vivere in pace e tranquillità. Non senza problemi, anzi spesso afflitti da vera povertà, ci si arrangiava a preparare la festa più bella dell’anno con le scarse risorse a disposizione. Il presepe, vero centro della celebrazione, diventava un progetto da realizzare durante i mesi precedenti, provvedendo a risparmiare e a procurarsi l’occorrente per allestire la più bella e ammirata rappresentazione della nascita di Gesù. Nel Bambino povero e indifeso facilmente ci si identificava. Oggi si parla di “stupore” di fronte alla capanna, poiché da un Re dei Cieli ci si attende un’entrata in scena con fuochi d’artificio ed effetti speciali. Allora era evidente che Gesù non potesse essere che quel Bambino nato nella mangiatoia, e per questo tanto apprezzato da chi sentiva di assomigliargli almeno un po’. Fra i preparativi, viene descritta la ricerca della tàpa, la corteccia destinata a coprire la capanna, e dell’erba tèpa, il muschio per creare un soffice pavimento vegetale. La disposizione delle statuette era accurata, tanto da lasciar intuire il significato e il ruolo di ciascun personaggio. Ma oltre al presepe, c’è spazio anche per altre consuetudini, come quella degli auguri di negozianti e postini, o quella della letterina da nascondere sotto al piatto di papà, complice la mamma. E naturalmente la cucina natalizia, in cui spiccano la minestra di riso o rape, la bisèta (anguilla in carpione), i pesì ’n ròza (pesciolini in aceto), e magari merluzzo o baccalà.

 

Presente…

Lo Spirito del Natale del Presente appare nel libro, quando l’Autore invita a dimenticare le “situazioni odierne, fatte di immagini scintillanti e sfavillanti caratterizzate dal turbinio crescente di acquisti, regali e cascate di messaggi augurali”. Ancor più quando paragona le luci di allora, i lumini che venivano accesi nel presepe accanto alla capanna nell’attesa della vigilia, a quelle che oggi invadono strade e monumenti della città, ma anche negozi a cui il Natale promette guadagni consistenti. Tutto ciò, senza alcuna moralistica recriminazione. Il libro vuol essere solo una “documentata descrizione” di “taglio etnografico”, avverte Cappelli. Eppure qualcosa rimane, pur nelle differenze storiche fra quel tempo lontano e il presente: il desiderio di pace. Aggiungerei il rifiuto della guerra, che allora era da poco terminata, oggi infuria in tante parti del mondo anche vicine a noi, e non accenna a placarsi, malgrado raccomandazioni e preghiere.

 

E Futuro?

Quello che forse non c’è è lo Spirito del Natale Futuro. Come lo immaginiamo? Minaccioso come quello di Dickens, o ancor più luminoso di quello del Presente? E la minaccia sarà un accostarsi l’uno all’altro dei vari “pezzi” della guerra, così da formare un terrifico puzzle di morte e devastazione che ci riporti a combattere “con la clava”? E se dovesse essere la luce, sarà quella fredda dei led, simbolo di una tecnologia che avrà cancellato ogni emozione, o di un’Intelligenza Artificiale che detta comportamenti razionali e preordinati? O sarà quella legata al ciclo della natura, che rinasce dopo il solstizio d’inverno promettendo che tutto ritorna sempre uguale? Svanite tutte le abitudini del passato, la domanda cruciale è se il cristianesimo troverà la forza e l’autorevolezza per rinnovare il messaggio di spiritualità, fascino e bellezza che tocca il cuore di ogni essere umano.

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