27-12-2013 ore 13:40 | Cultura - Storia
di Luigi Dossena

Imago et Historiae Cremae, il mitico Cenone del 1526. A castello Paradiso invitati decine di nobili, tra spettacoli incantevoli e 1438 portate

Cenone da ricordare quello di Crema nel 1526. Leonardo a Milano aveva terminato la sua Ultima Cena e a Crema Pietro Da Cemmo, specularmente, anno più anno meno, replicava naturalmente da par suo il divino pasto nel refettorio del Sant'Agostino.

Gli 80 commensali
Più materialmente i ricchi epuloni cremaschi piluccarono la somma di 1438 piatti; erano in 80 commensali, il meglio della più bella acqua cremasca e lumbarda. Era presente per nostra fortuna messer Pietro Da Terno, cancelliere di Giangiacomo Trivulzio. Ecco la descrizione che ne fece: "il generale Malatesta Baglioni, che in città aveva alloggi, voleva in città una solenne cena. Ergo un cenone. Lo allestì nell'area di porta Ombriano tra la casa dei Santangioleschi ed il castello Paradiso: così si chiamava perché era di una bellezza paradisiaca".

Il via alle danze
"Così cominciarono i festeggiamenti: a mezzogiorno iniziarono le musiche, le giocolerie e le danze, che durarono sino a sera, quando nascosto il sole, gli invitati andatono a palazzo di Sermon Vimerchato, ove assistettero a una commedia fino alle 2 di notte. Al termine della commedia ritornarono alla loro infinita cena. Erano presenti, tra gli altri, il podestà, il camerlengo, i nobili, Simone Della Rovere, Trivulzio, Borromeo, Gonzaga".

Lo splendore delle torce
Sulla tavola non furono messi candelabri per illuminare, tanto era lo splendore delle torce che pareva ancora mezzogiorno. In città, invece, succedeva il finimondo. Strade coperte da drappeggi, uomini e donne in costume, cavalli e asini con addosso la gualdrappa, musici, pifferai e trombettieri e tutti il tradizionale barnum ben noto, comprese due ruote infuocate che rullarono da porta Ombriano a porta Serio.



"La costuma francese"
I cremaschi, dell'Urbe, in preda ad una sorta di ballo di San Vito: una notte bianca ante litteram, che sarebbe piaciuta ai novelli anfitrioni. Tutto questo accadeva, sottolinea Pietro Da Terno, "accadea ala costuma francese"

Le braci accese
Furono portati in tavola 12 vasi dorati pieni di braci accese profumate con essenze per scaldarsi le mani in un vaso che ardeva. In un vaso ardeva il dio d'amore, in un altro fiammeggiava la Fenice, in un terzo bruciava una salamandra. Questa era l'atmosfera magica di castel Paradiso. E così si diede inizio alla cena: "cinque sorte per posta, a 14 piatti per sorte, che faseva 70 piatti per volta; 788 piatti di grasso e 650 piatti di magro".

Leccornie
Dei tortelli cremaschi non se ne parla, però non mancarono porzioni abbondanti di ravioli quadragesimali fritti, capponi lessi, pasticci di cervelli, cerne di manzo, anatre e torte di erbe, conigli arrosto, bottarghe, due barili di ostriche e sapore di mandorle e zenzero.
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