Se amate i libri proibiti dalle dittature o più semplicemente siete appassionati di fumetti, Che di Héctor Oesterheld, Alberto Breccia ed Enrique Breccia non può mancare nella vostra collezione, sia per il suo valore storico-artistico sia per l’aura leggendaria di cui è ammantato. Dal 2018 possiamo leggere quest’opera tradotta in italiano da Boris Battaglia, nell’ottima edizione Rizzoli Lizard. Interpretato al cinema da Omar Sharif nel 1969, Antonio Banderas nel 1996 e Benicio Del Toro nel 2008, Ernesto Guevara de la Serna, detto “Che” dal suo caratteristico intercalare argentino, è soprattutto un’icona. Il suo aspetto trasandato ma indimenticabile è scolpito nell’immaginario collettivo. La sua fotografia più famosa, scattata da Alberto Korda a L’Avana il 5 marzo 1960 e intitolata Guerrillero Heroico, è forse la più diffusa del mondo. Tutti conoscono il suo motto: Hasta la victoria siempre. Le sue gesta hanno ispirato poesie di Pablo Neruda, Julio Cortázar, Nicolás Guillén e canzoni come Hasta Siempre, Comandante di Carlos Puebla e Stagioni di Francesco Guccini. Gli storici concordano nell’affermare che Guevara fu un rivoluzionario girovago che sacrificò la sua vita nel tentativo di liberare gli oppressi, un intellettuale dotato di notevole intelligenza (Oesterheld lo definì “il migliore scrittore argentino”). Per il resto, l’immagine romantica e libertaria del “Che” non è sempre veritiera.
La vita in rivolta di un medico marxista
Nato in Argentina nel 1928 da una famiglia borghese, Guevara soffre di asma fin da bambino. È solo uno studente di medicina quando gira l’America del Sud con il suo amico Alberto Granado (in parte su una sgangherata motocicletta Norton 500, soprannominata La Poderosa) e resta segnato dalle miserabili condizioni di vita della popolazione. Durante il viaggio tiene il diario Latinoamericana, su cui è basato il film del 2004 I Diari della Motocicletta, diretto da Walter Salles. Nel 1954 Guevara incontra in Messico l’esule cubano Fidel Castro (avvocato e figlio di un proprietario terriero), che due anni più tardi lo arruola nella spedizione per liberare Cuba dalla dittatura di Fulgencio Batista. Sul campo di battaglia, Guevara dimostra di avere grande coraggio e doti di comandante, oltre al carisma che ne farà il numero due della nuova Cuba socialista. Castro lo nomina ministro dell’Industria e direttore della Banca Nazionale. È l’unico banchiere della Terra a vestirsi in tuta mimetica e a portare sempre con sé una mitraglietta (non era certo il tipo da armocromista). Guevara lascia Cuba per fomentare la rivoluzione in Congo e poi in Bolivia, dove nel 1967 è catturato dall’esercito nazionale, assistito da agenti della CIA e Rangers esperti in combattimento nella giungla. Le sue ultime parole, rivolte al giovane sergente incaricato di fucilarlo, sarebbero state: “Tranquillo, stai solo per uccidere un uomo”. Ancora oggi in Bolivia esiste un culto religioso intorno alla figura di San Ernesto de La Higuera o El Cristo de Vallegrande, nato dalla somiglianza delle fotografie scattate al cadavere di Guevara con il Cristo Morto di Andrea Mantegna.
La biografia messa al bando in Argentina
Nel 1968 l’editore argentino Carlos Pérez propone a Héctor Oesterheld di scrivere dodici biografie a fumetti sui personaggi storici sudamericani. La prima riguarda Guevara, poiché il suo diario sulla guerriglia in Bolivia (riportato avventurosamente a Cuba) è il libro più letto fra i giovani peronisti. Così nasce Che, illustrato in tre mesi da Alberto Breccia insieme al figlio Enrique. Il fumetto attira l’attenzione delle dittature militari che si susseguono in Argentina, prima quella di Juan Carlos Onganía (1966-1970), poi quella ancora più sanguinaria di Jorge Rafael Videla (1976-1981). Pare che Guillermo Borda, ministro dell’Interno di Onganía, fosse appassionato di fumetti tanto da esibire incorniciata in sala da pranzo una delle ultime pagine di Che, nella quale Guevara esorta i suoi carcerieri a finirlo dopo essersi fieramente alzato in piedi. Di solito i regimi totalitari non si preoccupano molto dei fumetti, che a volte vengono usati dagli artisti per aggirare la censura. Ma gli autori di Che, tre maestri del fumetto mondiale, finiscono nel mirino dei reazionari. I Breccia ricevono varie minacce, rimaste però senza conseguenze. Pérez è rapito da un commando armato a Buenos Aires l’8 maggio 1976. Tutto il materiale della sua casa editrice va al macero, comprese le tavole originali di Che. Il fumetto è messo al bando e tutte le copie rintracciate sono distrutte dai militari. Il 27 aprile 1977 Oesterheld viene scoperto a La Plata, dove si nascondeva sotto falso nome. Si aggiunge così alla lunga lista dei desaparecidos. L’anno seguente vengono arrestate anche le sue quattro figlie insieme ai mariti. Di nessuno di loro si avranno più notizie.
La resurrezione di un fumetto proibito
Che diventa sempre più un oggetto di culto (maledetto, prezioso, introvabile) finché nel 1987 ricompare in Spagna ristampato da Ediciones Ikusager. Proprio come nella canzone di Guccini: “da qualche parte un giorno, dove non si saprà, dove non lo aspettate, il Che ritornerà”. Inizialmente il fumetto era andato a ruba; nel marzo 1969, poco dopo la sua uscita, era già esaurito. È probabile che una copia della vecchia edizione Pérez, sfuggita ai censori, sia finita in Spagna, dove fu restaurata dopo molti anni di oblio. La prima vignetta del secondo capitolo di Che è un rettangolo vuoto. Può sembrare un vezzo artistico, ma in quello spazio doveva essere riprodotto il certificato di nascita di Guevara. Secondo alcuni, la madre di Ernesto era già incinta al momento del matrimonio e alterò il documento per evitare scandali. Forse per questo motivo, la copia dell’atto tardava ad arrivare dalla città di Rosario. Alla fine gli autori rinunciarono ad inserirlo nel fumetto. La vignetta è rimasta completamente bianca, perfetta per rappresentare la nascita di un eroe mitizzato. Sia come sia, certe voci che circondano Che sono state alimentate da Alberto Breccia, poi smentite da suo figlio, ma non smettono di affascinare. Per dirla con Gandalf il Grigio, “tutte le belle storie meritano un’infiorettatura” e quella di Ernesto “Che” Guevara de la Serna non fa eccezione.