24-11-2014 ore 21:11 | Cultura - Storia
di Luigi Dossena

Historia et imago Cremae. Nel cremasco il debutto dell'aratro: dall'ager Bergomensis alla lamina d'oro di Sergnano

A partire dal neolitico si iniziò a concepire la necessità di produrre cibo non solo per le esigenze immediate, ma per avere un minimo di scorta per i momenti ove non era possibile procurarsene; questo accadde sia per i frutti della terra, che per il mondo animale e così le terre antiche nei nostri territori iniziarono una irreversibile mutazione. Apparve anche da noi l’attrezzo che facilitò i proto-contadini, ovvero, l’aratro che veniva usato da principio spinto dall’uomo e inseguito trascinato dal bestiame.

 

Il faber cremascus

Quel mondo antico era il regno delle foreste, irrorato da copiosi e tracimanti corsi d’acqua che non avevano ancora trovato il loro alveo definitivo. L’homo faber cremascus iniziò a domare le burbanze, canalizzando l’irriguo e posizionando i villaggi. Quelle abitazioni erano protette da una cinta di pali e tronchi, rinforzati da pietrame: era il luogo ove avere ricetto e riparo in caso di pericolo per i piccoli insediamenti abitativi che erano sorti tutt’attorno. Abbiamo la certezza di queste presenze a Sergnano, Camisano, Vidolasco e Santa Maria del Cantuello presso Ricengo.

 

Terre fertili

Piano piano si accede all’età del Ferro e annotiamo che il mondo romano conosceva già la fertilità delle nostre terre. Polibio nel II sec a.C. scriveva: “La transpadanja è l’area più fertile d’Europa”. L’abbondanza del raccolto era un dato di fatto da noi, cresceva rigoglioso il grano, l’orzo, la vite, il miglio e il panìco. I querceti inoltre davano succulente ghiande e così i maiali crescevano in salute dando la stura a una produzione di carne sempre pronta e assai saporita.

 

L’ager Bergomensis

Le nostre genti vivevano in villaggi non fortificati e dormivano su miseri pagliericci. Possedevano solo due cose: l’oro e gli animali, Polibio dixit. Con l’avvento della romanizzazione spuntarono come funghi nuovi villaggi romani, molti ancora esistenti e altri coperti dalla coltre dell’oblio, come Plazanum, Vixanum, Pulzanum, Aulianum, Trognanum etc. Il cremasco era ultima propaggine dell’ager Bergomensis.

 

La romanizzazione del cremasco

Quando la romanizzazione fu quasi completa, la dominante assegnò ai contadini cremaschi i fundus spalmati fra le Alpi e il Po, chiamato Ager publicus. Consegnarono ad ogni colono un appezzamento di terra, egli firmava così col suo nome quell’area, tale nome si conservò anche in caso di passaggio di proprietà. Questo contratto era chiamato Vocabulum e sigillato legittimamente nel catasto: fu il primo contratto che apparve sotto il sole cremasco. I cognomen cremaschi  che ci sono pervenuti sono: Umbrius, Gabius, Quintus, Serenius, (Ombriano, Gabbiano, Quintano, Sergnano).

 

La pascula pubblica

Il paesaggio agricolo vene trasformato geometricamente nelle aree, ben delimitato da un reticolo afferente alla centuriazione e inframmezzata dall’incolto a mo’ di zona franca con possibilità di far pascolare gli armenti. Quest’ultima area era chiamata pascula pubblica e veniva concessa ai piccoli proprietari vicini alle linee della centuriazione o presso il trivio. E così anche nel cremasco di 2000 anni fa iniziò la gemmazione dei commerci locali, anche perché la romanizzazione aveva riassestato i sentieri della preistoria trasformandoli in vere e proprie strade.

 

Le beghe imperiali

Siamo giunti in età augustea, passando velocemente ai primi decenni dell’era Cristiana; le abitazioni dei coloni e degli indigeni erano cinte da siepi, così le descriveva Tacito in un bellissimo acquerello intorno alle beghe fra Otoniani e i Vitelliani avvenute nel 69 nei nostri territori. Lo storico parla di aperta campagna patens campus solcata da canali agrestis fossa; cita anche i densi arbusti che Plinio il Vecchio a sua volta definiva arbustum gallicum. Praticamente era la distesa di filari di vite maritata alla piantata molto bassa di alberi che sostenevano la vite stessa e che ostacolavano la vista, permettendo agli eserciti di essere reciprocamente invisibili.

 

La piccola selva di Tacito

Quella battaglia si svolse per locos arboribus ac vineis impeditos attraverso luoghi ingombri di alberi e vigne. Sempre Tacito scriveva di una picciola selva modica silva e di un bosco sacro lucus che emergeva su un terrapieno, fiancheggiato da ripidi fossati praeruptae utrimque fossae nel mezzo di una strada solcata da un corso d’acqua rivus dalle sponde ripidissime e l’alveo incerto incerto alveo et preacipitibus ripis. Fonti AA VV Cremona - L’età Antica; Valerio Ferrari …do spane da taré; Don Angelo Aschedamini Cremasco Antico.

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