24-04-2023 ore 20:10 | Cultura - Libri
di Paolo Emilio Solzi

Tre libri indagano sul mistero di Bella Ciao, il canto della Resistenza più famoso al mondo

Conosciamo gli autori di altre canzoni della Resistenza, come Fischia il Vento e Siamo i Ribelli della Montagna, ma Bella Ciao non si sa chi l’abbia scritta né quando (secondo una leggenda non supportata da prove, sarebbe stato Enzo Biagi). Di recente tre brevi ma interessantissimi libri hanno tentato di scovarne le origini: Bella Ciao. La canzone della libertà di Carlo Pestelli (add editore, 2016), Bella Ciao. Storia e fortuna di una canzone di Cesare Bermani (Interlinea, 2020), Bella Ciao a cura di Marcello Flores (Garzanti, 2020).

 

Motivetti italiani e melodie yiddish

Chiunque abbia indagato su Bella Ciao si è arreso all’approssimativo. La sua intricata vicenda, ricca di colpi di scena, falsi storici e tentativi di rivendicarne la paternità, sembra una spy story. Le ricerche hanno condotto qualcuno fino a canti francesi e spagnoli del XVI secolo, che potrebbero essere degli ascendenti molto lontani. Senza spingerci troppo indietro nel tempo, gli antenati più riconoscibili di Bella Ciao sono Fior di Tomba e La Bevanda Sonnifera, due canzoni popolari che a metà Ottocento circolavano nelle campagne padane. Anche Picchia Picchia la Porticella (altro tema settentrionale cantato oggi da Orietta Berti) ricorda Bella Ciao, ma a differenza di questa è in tonalità maggiore. Due canti della tradizione yiddish, Di Silberne Khasene (Le Nozze d’Argento) e Koilen (Carbone), evocano Bella Ciao. Il primo assomiglia alla canzone dei partigiani, ma appartiene ad una cultura che con l’Italia c’entra poco. A registrare il secondo nel 1919 fu Mishka Ziganoff, un fisarmonicista zigano di Odessa emigrato a New York. Koilen è identico a Bella Ciao nelle prime note e in qualche breve passaggio successivo; per il resto è diverso sia nella melodia che nell’atmosfera russeggiante.

 

Il primato raggiunto negli anni Sessanta

Gli studiosi respingono all’unanimità la “posizione ‘negazionista’ (secondo cui Bella Ciao non sarebbe mai stata cantata nel corso della Resistenza) che, sull’onda di affermazioni generiche” e infondate di certi scrittori revisionisti, si è affermata su alcuni giornali. È documentata la presenza di Bella Ciao, prima del 25 aprile 1945, intorno a Reggio Emilia, sugli Appennini modenesi e bolognesi, in Abruzzo, sui monti Apuani, nelle campagne di Rieti e in varie province e valli piemontesi. Tuttavia Bella Ciao diventa il canto partigiano più popolare solo nei primi anni Sessanta, sbaragliando Fischia il Vento e altri inni più diffusi durante la Resistenza. Viene accolta anche da gruppi democristiani e socialisti, poiché gli unici riferimenti politici presenti nel testo sono “il partigiano” e “l’invasor” (i nazisti).

 

Una testo antifascista, non comunista

Le parole di Fischia il Vento, che includono “la rossa bandiera” e “il Sol dell’Avvenir”, furono composte da Felice Cascione (comandante della zona di Imperia, che Italo Calvino descrisse come il “più valoroso di tutti i partigiani”) sulle note di Katjuša, una canzone russa del 1938 del poeta sovietico Michail Isakovski e del musicista ebreo Matvej Blanter. Al contrario in Bella Ciao non ci sono rimandi, testuali o musicali, alla Russia e al comunismo. Se oggi “è indigesta a qualcuno”, viene “accusata di rappresentare l’egemonia comunista sulla Resistenza” ed è al centro “delle polemiche che accompagnano ogni anno la celebrazione del 25 aprile” (ritenuta da tanti una data divisiva), è perché “una distorsione mediatica l’ha investita di un colore che prima non aveva”. Infatti, per Moni Ovadia, Bella Ciao funziona come una cartina di tornasole: “è universale anche nel rifiuto che genera in fascisti e in reazionari, sotto qualsiasi travestimento si presentino, e nel fastidio che provoca in quei sedicenti moderati che non vogliono essere messi di fronte a certe scelte fondamentali”.

 

Un canto patriottico dei morti per la libertà

Specialmente se vediamo la Resistenza come un secondo Risorgimento, perché un italiano patriottico (non fascista) dovrebbe ripudiare una canzone, in sostanza “non connotata dal punto di vista politico”, che accenna alla liberazione da un invasore straniero? Carlo Pestelli commenta: “I partigiani che venivano fucilati, un attimo prima di morire, gridavano spesso ‘Viva l’Italia!’, che in quel momento equivaleva a dire ‘Viva l’Italia libera’. Non a caso, nelle tantissime targhe commemorative […] in loro onore, ci sono anzitutto le generalità (con il nome preceduto dal cognome), poi segue la qualifica professionale (ferroviere, operaio, bracciante), e infine scritto più grande: ‘Caduto per la libertà’. Leggere oggi le Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, con tutto quel profluvio di invocazioni alla Patria, sempre con la P maiuscola o con frasi come: ‘Possa il mio grido di Viva l’Italia Libera sovrastare il crepitio dei moschetti che mi daranno la morte’ […], fa venire in mente” Silvio Pellico. Un ponte ideale collega “il patriottismo di chi a Milano scriveva sui muri ‘W Verdi’ con quello di chi, poco meno di un secolo dopo, veniva fucilato dai nazisti e all’Italia dedicava il suo ultimo pensiero”.

 

Uno dei testi più tradotti del pianeta

Nel dopoguerra Bella Ciao si fa conoscere in tutto il mondo grazie ai Festival della Gioventù. Intorno al 2000 viene adottata dai movimenti No-Global. Nel 2017 riesplode come tema musicale della serie televisiva La Casa di Carta e un paio di anni più tardi è cantata nelle piazze dalle Sardine. Memorabili le interpretazioni di Tom Waits, Manu Chao, Yves Montand, Claudio Villa, Woody Allen, del coro dell’Armata Rossa, dei Modena City Ramblers e dell’istrionico Goran Bregović. Le caratteristiche di Bella Ciao che l’hanno resa celebre a livello planetario sono il titolo composto da due parole italiane tra le più famose all’estero, il testo facilmente traducibile in altre lingue, lo “snodarsi narrativo in cui le strofe si succedono per gemmazione”, la melodia fresca e orecchiabile, la joie de vivre che richiama alcuni stereotipi sull’Italia. Moni Ovadia aggiunge il “catartico battito di mani”, intrinseco alla canzone, che “travolge chiunque si trovi in mezzo alle sue note”, come accade con la Marcia di Radetzky ad ogni concerto di capodanno a Vienna.

 

Un inno contro ogni forma di oppressione

Esistono perfino versioni di Bella Ciao in lingue artificiali, come l’esperanto, e in lingue morte, come il latino: Hoc die mane sum experrectus / amica mea, vale, vale, amica mea / hoc die mane sum experrectus / in patria haud libera. Il successo internazionale del canto partigiano l’ha trasformato in una musica libertaria che accompagna le rivolte contro ogni forma di oppressione. Eppure il mistero di Bella Ciao non è mai stato risolto. Scoprire la genesi della canzone sarebbe come trovare il Santo Graal degli storici della Resistenza.

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