Gettando il nostro scandaglio in quel fondale oceanico che è l’archivio storico del Corriere della sera, emerge una notiziola apparentemente marginale, ma che apre uno spaccato interessante sulla storia della città di Crema. Il protagonista di questo episodio è Gabriele D’Annunzio. Sulla prima pagina del 25 maggio 1926 compare un trafiletto dal titolo: “D’Annunzio inaugura al Vittoriale il gagliardetto della Banca Popolare di Milano”. Nell’articolo si racconta che il gruppo sportivo della Banca Popolare di Milano, composto dagli impiegati della banca accompagnati da amici e parenti per un numero totale di 650 persone, si era recato il giorno precedente a Gardone Riviera per inaugurare il suo gagliardetto alla presenza del Vate, oratore d’eccezione della cerimonia. D’Annunzio quel giorno attendeva la folla vestito da generale dell’aeronautica sul ponte della nave militare Puglia, donatagli dalla Marina Militare solo tre anni prima: «l’umore del Poeta è gaio, e il suo aspetto è ottimo», commenta l’anonimo cronista del Corriere.
L’orbo veggente
Dopo qualche minuto, una volta che il folto gruppo si fu disposto sotto la tolda della nave, da quell’eccezionale tribuna, l’Imaginifico, toltosi il berretto nonostante avesse cominciato a piovere, cominciò a parlare: «Vedete che io sono sempre l’orbo veggente, appunto perché avevo desiderato di accogliervi al Vittoriale in un giorno di sole, e invece piove». D’Annunzio, come nel suo stile, esordisce con un’allusione alle sue imprese eroiche: l’appellativo di “orbo veggente” se l’era dato da quando un infortunio aereo, avvenuto il 16 gennaio 1916 a Grado, gli aveva provocato una parziale cecità. E non è difficile intravedere nel soprannome l’ombra di un paragone con Omero, il cieco vate per eccellenza.
Legionari fiumani cremaschi
Il comandante prosegue dunque la sua allocuzione: «Vi ringrazio e mi stupisco quasi del silenzio con cui siete arrivati fin quassù: voi gente bancaria, maestri di clamori. Vi devo dire che non posso parlare a lungo per una vilissima faringite». Dopo qualche simpatico scambio di battute con la folla (D’Annunzio lancia il suo berretto sugli astanti in segno di ironico e aristocratico dispregio dolendosi «che non sia più solido!»), d’un tratto un signore in mezzo all’adunata domanda la parola: è il conte avvocato Alberto Premoli, sindaco di Crema dal 1922 al 1927 (si dimise nel mese di marzo). Il conte spiega che una piccola comitiva di legionari fiumani cremaschi «si era infiltrata nel grosso della spedizione bancaria». Secondo l’elenco ufficiale dei legionari fiumani depositato presso la fondazione del Vittoriale degli italiani il 24 giugno del 1939, in effetti, i legionari dannunziani della provincia di Cremona erano una trentina, ma il numero potrebbe forse essere accresciuto da altri dati documentari.
Impianto retorico risorgimentale
Il sindaco di Crema in quell’occasione portò in omaggio a D’Annunzio alcune preziose monete dell’epoca di Barbarossa (forse ancora oggi conservate al Vittoriale): «Non sono un numismatico» rispose il Filibustiere del Quarnaro «ma lo accetto come un obolo. Vi sono grato che abbiate fatta questa visita nella Pentecoste rischiarata dalla fiamma mistica. Voi non avete sulla fronte la lingua di fuoco della Pentecoste, ma l’ardore d’Italia è in voi, compagni». Quel 24 maggio 1926 era proprio la Pentecoste e D’Annunzio, paragonando nella sua orazione la fiamma dello Spirito Santo all’ardore dei combattenti, s’inseriva in quell’impianto retorico tipicamente risorgimentale che prendeva a prestito dalla religione immagini e concetti risemantizzandoli in chiave patriottica.
La lode del volgo
Terminato il discorso, dopo aver fatto sparare alcuni colpi di cannone a scopo commemorativo, il Comandante scese dalla tolda della nave e si intrattenne a conversare «ilare e facondo» con alcuni legionari cremaschi che riconobbe e baciò. Infine, conclude il cronista, «al sindaco di Crema promette di andare a Crema un giorno, in incognito, con la parrucca, una barba finta e un paio d’occhiali d’oro da giovane pianista». Il desiderio di D’Annunzio di visitare Crema in incognito e mascherato sarà semplicemente da intendere come una facezia; ma se è vero che Dieu est dans les détails, la boutade rivela bene un tratto del carattere del poeta che amava dare di sé l’immagine, artatamente concepita, del superuomo acclamato dalle masse e che tuttavia vuole sfuggire alla popolarità ritenendo – nel suo programma reazionario – la lode del volgo un’ingiuria. L’immagine degli occhiali d’oro da giovane pianista ricorda poi la descrizione del pianista che apre il capitolo terzo del romanzo dannunziano La Leda senza cigno (1913), appena dopo la sublime descrizione sinestetica delle sonate di Domenico Scarlatti che chiude il capitolo secondo: «Il giovine sonatore aveva il viso raso angoloso e sparso di qualche neo irsuto alla Franz Liszt, un paio d’occhiali professorii a stanghette d’oro sopra un naso quasi greco ecc.». D’altra parte gli occhiali di D’Annunzio, quelli che ancora si trovano, sulla scrivania dove il poeta morì, nella stessa posizione in cui li lasciò per l’ultima volta, avevano proprio le stanghette d’oro. Non sapremo mai se davvero dopo quell’incontro col sindaco di Crema e con alcuni legionari cremaschi D’Annunzio venne a visitare la città, come promise, travestito a quel modo. Forse con quell’immagine volle evocare lo Zarathustra di Nietzsche che in Also sprach Zarathustra, al termine del capitolo Dell’accortezza umana, dichiara la sua paura nel sentirsi trascinato in alto verso il superuomo e dice che dovrà assumere alcune cautele per restare aggrappato all’uomo ed evitare di volare via come un pallone aerostatico verso un futuro lontano: «E anch’io voglio sedermi fra di voi travestito – per disconoscere voi e me: questa infatti è la mia ultima accortezza umana. Così parlò Zarathustra».