18-08-2016 ore 18:40 | Cultura - Crema in litteris
di Nicolò Premi

Fastidi cremaschi per Vincenzo Monti. Il liceo e la “bella trovata” di un viceprefetto

Sfogliando l’epistolario di Vincenzo Monti ci si imbatte, non senza qualche sorpresa, in una curiosa lettera che riguarda la città di Crema. Si tratta di una missiva che Monti inviò da Milano il 4 luglio 1811 a un destinatario illustre: il ministro dell’interno del Regno d’Italia napoleonico (1805-1814, Crema ne faceva parte) Luigi Vaccari. Se ne riporta qui di seguito un estratto: «Eccellenza. Nella distribuzione de’ premj agli alunni del Liceo di Crema il Rettore di esso e l’Autorità Municipale avevano, sull’esempio di altri Licei, prescelto alcune mie operette, l’Aristodemo, la Basvilliana, il Pericolo. […] Né di queste opere, riprodotte in tante edizioni, né di verun’altra uscita dalla mia penna il Governo italiano ha mai impedita la libera diffusione. Nulladimeno il sig. Viceprefetto di Crema, contro la mente di quel Rettore e di quel Municipio, non solo ne ha vietata con solennità clamorosa la distribuzione agli alunni di quel Liceo, ma ben anche la vendita, e l’uno e l’altro di questi decreti avrebbe avuto l’effetto, se la saviezza dell’ottimo sig. Prefetto Ticozzi non vi avesse posto pronto riparo. Nel recare alla superior cognizione la notizia di questi fatti, rimetto, Eccellenza, all’alto vostro discernimento il decidere se l’ingiuria portatami dal nominato Viceprefetto sia degna di riprensione».

 

Il processo di laicizzazione

I fatti esposti da Monti sono chiari ma fanno sorgere qualche interrogativo. Procediamo con ordine. Il liceo di Crema (il Regio ginnasio che nel 1962 diventerà il Liceo classico A. Racchetti) all’inizio dell’Ottocento stava attraversando un processo di laicizzazione, una transizione che lo aveva trasformato da istituto gestito dai barnabiti a istituto pubblico a gestione comunale. Non deve dunque stupire che Monti si rivolga al ministro dell’interno, responsabile ultimo degli istituti d’istruzione napoleonici, per risolvere un problema sorto nel liceo cremasco. Monti fa riferimento a una pratica diffusa all’epoca: la distribuzione di libri come premio agli alunni più meritevoli. Doveva trattarsi di un’usanza particolarmente cara al poeta; nell’epistolario infatti compare un’altra lettera (datata 27 giugno 1812) inviata al ministro dell’interno in cui il Monti chiede che la Direzione generale degli studi del governo napoleonico acquisti parecchi esemplari della sua traduzione dell’Iliade «per la distribuzione de’ premii nei licei».

 

Aristodemo, Pericolo e Bassvilliana

Nel 1811 il Municipio di Crema e il rettore del liceo, all’epoca don Agostino Fasoli, avevano deciso di distribuire tre operette del cavalier Monti, l’Aristodemo, una tragedia di argomento classico del 1784 che ebbe grande successo e fu applaudita persino da Goethe; la Bassvilliana ossia In morte di Ugo di Bassville, opera del 1793 che condannava la ferocia rivoluzionaria negli anni delle repubbliche giacobine e che pertanto era divenuta di culto negli anni della monarchia napoleonica e il Pericolo, un poemetto, per usare le parole del Monti, «consecrato presso che tutto alla gloria del grande Napoleone, comandante supremo a quell’epoca delle armi francesi in Italia». Come sottolinea Monti nessuna di queste opere era stata censurata, eppure l’anonimo viceprefetto di Crema avrebbe voluto impedirne la distribuzione agli alunni e addirittura la vendita in città.

 

Poeta ufficiale del governo

La scelta di distribuire agli alunni cremaschi opere di Vincenzo Monti non è ovviamente casuale. Nel 1811 il cavalier Monti era già stato nominato poeta ufficiale del governo italiano (1804) e storiografo del Regno d’Italia (1806) e grazie alle sue alte frequentazioni non solo poteva permettersi di scrivere direttamente al ministro dell’interno ma vantava anche l’amicizia della famiglia del vicerè Eugenio di Beauharnais a cui non mancava di dedicare numerose opere per guadagnarsene le grazie. Vincenzo Monti era, in poche parole, un poeta cortigiano e la diffusione delle sue opere era appoggiata dal governo napoleonico per motivi propagandistici. Allora perché il viceprefetto di Crema volle solennemente impedire che le opere di una personalità così illustre e vicina agli ambienti del potere fossero donate agli alunni cremaschi e vendute in città? Chi era il viceprefetto che ingiuriò in tal modo il poeta di Napoleone? L’organizzazione amministrativa del regno napoleonico aveva previsto che nell’ambito del Dipartimento dell’alto Po Crema, Casalmaggiore e Lodi fossero amministrate da un viceprefetto, mentre a Cremona aveva sede il nominato prefetto Francesco Ticozzi che invalidò i provvedimenti eversivi del viceprefetto. All’epoca dei fatti il viceprefetto di Crema era Stefano Gervasoni, ma Monti, forse per fastidio e antipatia o, meno probabilmente, per galateo istituzionale, si guardò bene dal nominarlo.

 

Il poeta del consenso

Non è dato sapere il motivo di questa soperchieria del Gervasoni ai danni di Vincenzo Monti, tuttavia conoscendo a grandi linee la biografia del poeta e il quadro storico in cui questo episodio si inserisce non è difficile supporlo. All’epoca sua Monti, soprattutto presso gli ambienti più romanticheggianti alla Foscolo, aveva la brutta fama di adulatore dei potenti di turno, di qualunque partito o nazione essi fossero, dominatori austriaci o francesi. Vincenzo Monti era quello che Walter Binni definì «poeta del consenso», uno scrittore cioè con una forte tendenza a fiutare il vento e a mettersi sempre dalla parte dei più forti, sempre pronto a cambiare bandiera al punto da meritarsi l’epiteto di voltagabbana. I suoi repentini cambiamenti di posizione e la tendenza ad arruffianarsi il vincitore di turno gettarono su di lui un’ombra di discredito e dubbi sulla sua statura morale. Non è un caso se il Nostro non sarà annoverato tra i padri letterari riconosciuti del Risorgimento (Parini, Alfieri, Foscolo, Leopardi, Manzoni).

 

La “bella trovata” del viceprefetto

Poco importa se la sua condotta morale può essere in parte giustificata dalla sua concezione del letterato come estraneo agli obblighi di coerenza politica cui è sottoposto l’uomo di governo: gli ambienti patriottici videro in lui un nemico e non mancarono di esprimere nei suoi confronti ira e dispetto per la sua condotta politica. La “bella trovata” del viceprefetto Gervasoni dunque sembra proprio iscriversi in questo scenario e anzi si profila come un caso esemplare all’interno della biografia del Monti, uno scrittore galoppino dei potenti che destava antipatie fino al punto di spingere alcuni, come il Gervasoni, a tentare di impedire la diffusione delle sue opere. Forse il viceprefetto nutriva segretamente sentimenti antinapoleonici (la tentata censura di un’opera celebrativa del Bonaparte come il Pericolo potrebbe essere interpretata come un atto politico) o forse semplicemente detestava il Monti come uomo per via della sua ambigua condotta morale: questo spiegherebbe la volontà di censurare anche una tragedia politicamente innocua come l’Aristodemo. Purtroppo non sappiamo quale fu l’esito della vicenda, se il ministro prese provvedimenti contro l’eversivo viceprefetto o se lasciò cadere il contenzioso. Conoscendo l’influenza di Monti presso le alte cariche stupirebbe che il ministro non avesse dato seguito alla lamentela del poeta di corte. La risposta giace probabilmente in qualche archivio e, per quanto è dato sapere, non è ancora stata svelata.

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