17-01-2025 ore 20:07 | Cultura - Incontri
di Patrizia de Capua

E ha molte altre virtù e difetti. L’uomo nella relazione di Silvano Allasia al Caffè filosofico

Come il secondo lunedì di ogni mese, al Bar Gallery il 13 gennaio si è ripetuto il rito del Caffè filosofico. Un rito che non delude, se il relatore è il professore (e preside in pensione) Silvano Allasia. Per di più socio fondatore o “ispiratore”, come sta scritto sul sito dell’associazione. Il Caffè è “sacca di resistenza contro l’approssimazione”: così introduce la serata il presidente Marco Ermentini presentando Silvano, e ricordando l’ultimo dei suoi interventi in questa sede, intitolato Friedrich Nietzsche. Una filosofia per tutti e per nessuno (2023). Molteplici sono state le occasioni per ascoltare i suoi discorsi filosofici fin dall’inizio dell’avventura, quando Allasia sviluppò temi come L’enigma dell’Io. Identità e soggetto (2003), spiegando che non dovremmo lasciarci incantare da concezioni ingenue che considerano l’identità come sempre uguale. Così il bambino quando chiede: “Io dov’ero prima di nascere?”, o l’adulto che si domanda: “Io dove andrò dopo la morte?”. Altri argomenti furono Relativismo cristiano-antirelativismo laico. Un percorso nella bibliografia recente (2005) e il resoconto di viaggio Sulla strada. Dopo il cammino di Santiago (2009), realizzato insieme alla professoressa Barbara Rocca. E ancora il dialogo con Flavio Oreglio Invito al Simposio (2008). Allasia rese anche possibile la “rete” con iniziative di altre realtà culturali della città, come il Centro Eda di educazione per gli adulti, promotore, grazie all’allora preside Rosy Freri, del percorso filosofico-gastronomico Kalòskagathòs. Sei lezioni di gastrosofia, divenuto poi il Quaderno n. 2 del Caffè. Per non parlare dei suoi sempre graditi ed attesissimi appuntamenti con gli ex alunni del Liceo “Alessandro Racchetti”, dove approfondì il discorso sempre nuovo di libertà e necessità.

 

La natura dell’essere umano

Ma perché vi tedio con questo elenco? Chiunque abbia ascoltato anche una sola delle lezioni magistrali di Silvano ha potuto apprezzarne la complessità e la chiarezza. Per dirla con le parole della serata del 13 gennaio, nella sua veste pubblica Allasia incarna la natura dell’ottimo professore che non smette di aggiornarsi e che anzi ha saputo aggiornare in filosofia e didattica digitale colleghi giovani demotivati e anziani demoralizzati. Il titolo Natura-umanità-macchina (culture) non allude in modo esclusivo all’Intelligenza Artificiale. L’intento del relatore è piuttosto mostrare l’inconsistenza del luogo comune di una fissità e immutabilità dell’Io e quindi l’impossibilità di definirne una natura perennemente uguale. La natura dell’essere umano, a volte definita “virtù”, “essenza” o “qualità specifica”, è stata per millenni il termine di paragone per circoscrivere una caratteristica specifica dell’essere umano, a partire dal genere prossimo: l’animale. L’uomo è l’“animale razionale”. Poi diventa l’“animale politico” (Aristotele). Ma anche l’“animale che ride” (sempre Aristotele). Più tardi Cartesio lo distingue dagli altri animali, considerati semplici automi fatti di sola materia senza spirito, mentre l’uomo è sia corpo che spirito pensante.

 

L’identità è complicata da definire

Eraclito sapeva già che tutto cambia in continuazione e il mio Io di oggi non è più lo stesso di cinquant’anni fa, ma neppure di cinque minuti fa. Così quella concezione ingenua dell’identità a cui si accennava era già traballante fin dal sesto/quinto secolo a.C. Dagli antichissimi saggi presocratici apprendiamo dunque che l’identità è complicata da definire. Omero nel IX Canto dell’Odissea aveva rappresentato Ulisse che, alla corte dei Feaci, narrando il proprio viaggio spiega che cos’è l’uomo. Lo fa con un metodo simile a quello utilizzato da Umberto Eco per insegnare come si scrive, ossia a partire dal mostrare come non si scrive. Nel corso di laurea in Scienze della Comunicazione dell’anno accademico 1994-95 tenuto presso l’Università di Bologna, infatti, “alcuni esercizi consistevano nel provarsi a scrivere male, e cioè come non si deve – perché per capire come si deve occorre anche capire com’è che non si deve” (Povero Pinocchio, a cura di Umberto Eco, Comix, 1995). Secondo Omero l’uomo è ben diverso dai Ciclopi, in particolare Polifemo che non si mischia con gli altri, vive isolato, fuori da ogni legge, è un selvaggio che non conosce giustizia né leggi, non beve vino ma latte, si ciba di carne umana, non onora l’ospitalità sacra a Zeus perché non si cura degli dei.

 

Da dominatore a custode della natura

Ma attenzione a non identificare naturale con bello, buono, eticamente apprezzabile. Naturali sono terremoti, incendi devastanti, alluvioni, tsunami, eruzioni vulcaniche che seppelliscono intere città, cancellano ecosistemi e uccidono tutti i viventi. Naturali sono comportamenti aggressivi di specie animali come i leoni e comportamenti pacifici come quelli dei Bonobo, paragonati da Allasia agli Hippy, con cui condividono l’invito “fate l’amore, non fate la guerra”. Asteniamoci dal parlare di “contro natura” quando vogliamo bollare come inaccettabili costumi o consuetudini che confliggono con la nostra coscienza, o semplicemente non ci garbano. La Bibbia propone spunti interessanti per illustrare la relazione di continuità/discontinuità fra uomini e natura, uomini e animali. Spesso viene citato il racconto della Genesi dove Dio pone l’uomo al centro del creato e gli consente di dominare e asservire gli animali, anche cibandosene. Sappiamo che fine ha fatto il progetto cartesiano e baconiano di rendere l’uomo maître et possesseur de la nature, costruendo il regnum hominis in natura. Pare che oggi papa Francesco abbia ribaltato quel programma, trasformando l’uomo da dominatore a custode della natura. Si vedrà quanto verrà ascoltato.

 

In riferimento alla macchina

Il percorso di Allasia si snoda in varie direzioni, senza smarrire il filo conduttore. Non è qui possibile ripercorrerne tutti i sentieri. Alla fine l’uomo si troverà a definirsi non più in riferimento al mondo animale, alla natura, bensì in riferimento alla macchina. Sono lontani i tempi in cui Eschilo nel Prometeo incatenato considerava la tecnica inferiore alla natura. Remoto anche il mito che Platone riferisce nel Protagora, rielaborato da Pico della Mirandola in chiave cristiana. In quel mito Zeus, o Dio, dopo aver fornito a ciascun animale qualità specifiche utili per la sopravvivenza, rimane privo di qualità da donare all’uomo. Nel racconto pagano, all’uomo pensa Prometeo, rubando per lui il fuoco, con cui svilupperà la tecnica. In quello cristiano, secondo Pico, Dio decide di donare all’uomo la libertà di scegliere se abbrutirsi, vivendo una vita animalesca, o elevarsi ad una vita spirituale degna degli angeli. Un essere né terreno né celeste, che foggerà se stesso così come crede.

 

L’esistenza precede l’essenza

Un solo esempio riporto per concludere il discorso uomo-macchina. Allasia cita un passo dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx, dove, parlando dell’alienazione del lavoro, si dice che anche l’animale produce. Ad esempio si costruisce un nido come fanno api, castori, formiche. Ma l’animale produce solo “sotto il dominio del bisogno” e per istinto, mentre l’uomo lo fa per realizzare un progetto consapevole. Benjamin Franklin, inventore del parafulmine, aveva definito l’uomo tool-making animal. “Costruire strumenti” presuppone quell’attività progettuale che nel secolo XX Sartre delinea con un altro esempio: il tagliacarte. L’artigiano che lo realizza ha l’idea (conosce l’essenza) del tagliacarte: sa che cos’è, a che cosa serve e con quale tecnica si produce. Poi lo costruisce (esistenza). Con ciò Sartre spiega che nel mondo degli oggetti l’essenza ideale precede l’esistenza. Nel caso dell’uomo, invece, l’esistenza precede l’essenza. L’individuo prima deve vivere, operando scelte, scartando opzioni, attraversando anche l’angoscia della scelta, poi con questa testimonianza avrà offerto al mondo la propria immagine dell’ideale, l’essenza, la natura dell’uomo. Coraggio, quindi, non abbattiamoci se la tecnica soppianta progressivamente la natura. Il relativismo ci ha salvato dal dogmatismo dei valori assoluti, ma non ci ha tolto la capacità di distinguere il bene dal male e dimostrare che abbiamo molte altre virtù.

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