Il Teatro alle Vigne di Lodi ospita uno spettacolo significativo, a tratti commovente, che tocca temi di rilievo: la storia italiana, il fascismo, i pregiudizi, la limitazione della libertà. La vicenda si svolge nel 1932, decimo anno dell’era fascista, in un parco di Milano, dove un gruppo di ragazze lancia l’idea, quasi per sfida, di giocare a calcio. Nasce il Gruppo Femminile Calcistico, la prima squadra di calcio femminile italiana, che in breve raccoglie intorno a sé decine di atlete. Gli organi federali in principio assecondano l’iniziativa, consentendo loro di allenarsi, ma non di giocare in pubblico e prescrivendo una serie di condizioni restrittive: usare un pallone di gomma e non di cuoio, indossare la gonna e non i pantaloncini, passare la palla solo rasoterra e far giocare in porta dei ragazzini adolescenti. Il motivo di queste regole imposte è la volontà di preservare le loro “capacità riproduttive”. Nonostante ciò, l'avventura sportiva di queste giovani donne risolute e coraggiose riesce caparbiamente a resistere per quasi un anno, finché, proprio alla vigilia della loro prima partita ufficiale, il regime le costringe a smettere di giocare.
Novembre per le donne vittime di violenza
La Sala è gremita, l'Assessore alle Pari Opportunità Manuela Minojetti porge il saluto dell'Amministrazione Comunale di Lodi e ringrazia il pubblico e le numerose associazioni del territorio, co-protagoniste degli eventi in programma nel corso del mese di novembre a sostegno delle donne vittime di violenza, tra queste in particolar modo "Se non ora quando" e "Toponomastica femminile". Sul palco solo una panchina, un pallone e tre attrici, che si muovono con disinvoltura in scena: si chiamano per cognome in modo cameratesco, come tra compagni del liceo o di caserma e i numerosi spettatori si appassionano subito alle loro vicende. Ottima è l'intesa, magistrale l'intreccio di voci e personalità, coinvolgente la narrazione.
Tre giovinette per una squadra
Si chiamano Boccalini, Lucchesi e Strigaro: Marta, la prima, saggia e posata, ha coinvolto anche le sorelle nella sua avventura sportiva, determinata a combattere per la libertà di giocare. Lei viene da una famiglia di socialisti e di professione fa la sartina, “cuce il gioco su e giù come farebbe con un ago”. Lucchesi, inizialmente eletta portiere della squadra, poi terzino, è pronta a sfidare l'opposizione paterna, mentre riceve appoggio dal futuro suocero, proprietario di un'azienda di vini, che diventa lo sponsor della squadra. Infine, l'inarrestabile stratega Strigaro, sempre pronta ad insorgere contro ogni ingiustizia e a galvanizzare le compagne, ha ragioni e parole da vendere a chiunque, tranne che nel momento in cui incontra il suo mito, Giuseppe Meazza. E' lei che con impeto ed entusiasmo irrefrenabili convince le giocatrici a scrivere ai giornali e poi al CONI per veder riconosciuta la squadra femminile.
Le donne e il fascismo
L'Italia di allora è fascista e man mano che il gruppo si allarga e diventa una vera formazione, tanto da far parlare di sé sui giornali, il regime entra in allarme. Certo, queste giovinette scendono in campo con i calzettoni e la gonna nera per non offendere la morale, ma sono comunque donne e il calcio è uno sport da maschi. La partita di calcio diviene metafora della vita: le ragazze lanciano una sfida al loro tempo, al regime, alla mentalità dominante, che vedeva nel calcio lo sport emblema della virilità fascista e rivolgono una sfida anche a se stesse. Dopo lo scioglimento della squadra, alcune di loro si lanceranno in altri sport, altre entreranno a far parte dei gruppi di partigiani, in aperta lotta contro il fascismo, altre ancora torneranno ad essere invisibili, in una quotidianità comune a tanti altri. Uno dei tanti slogan di Benito Mussolini recitava: “Per obbedire, badare alla casa, mettere al mondo i figli e portare le corna”. Il mondo, nel quale esse vivevano, era solo per uomini: la politica antifemminista imponeva alla donna l’esclusivo ruolo di madre-casalinga e di procreatrice di figli, con il progressivo allontanamento dal mondo degli studi e del lavoro. Le tre giovinette lo avevano sfidato.
Tre donne per tre eroine
La loro epopea è raccontata con ironia e leggerezza da un trio di attrici che, mischiando comicità e narrazione, ci mostra come, pur a distanza di tanti anni e di tante battaglie, certi pregiudizi siano duri a morire e come la lotta per la libertà e i propri diritti passi anche attraverso lo sport. Chiara Stoppa, Rossana Mola e Rita Pelusio, perfettamente calate nei panni delle tre giovinette, portano in scena uno spettacolo fuori abbonamento, in cui la storia vera viene rievocata con precisione filologica e con forme di divulgazione accattivanti. La regia di Laura Curino, autrice ed attrice torinese, tra i maggiori interpreti del teatro di narrazione, è attenta, accurata e scoppiettante.
Il diario di Marta
La storia di amicizia, di gioco e di lotta di queste pioniere del calcio, tra esaltanti vittorie, umilianti battute d'arresto, alleati inattesi e irriducibili nemici, è tratta dal romanzo di Federica Seneghini, corredato da un saggio di Marco Giani, che ripercorre decenni di discriminazione femminile nel mondo del calcio e che attraverso questo scorcio avvincente del nostro passato propone una riflessione preziosa sulle ingiustizie ancora pericolosamente vive nel nostro presente. Entrambi gli autori sono presenti in sala, accanto alla ricercatrice Alice Vergnaghi, e regalano sorprendenti rivelazioni al pubblico: prima di trasferirsi a Milano nel 1926, le sorelle Boccalini hanno vissuto a Lodi, proprio in una casa, situata in via Cavour a pochi metri dal teatro alle Vigne. Il libro si ispira al diario di Marta.
Antifascismo oggi
La produzione PEM Habitat Teatrali gode anche del sostegno di due associazioni, che da sempre mantengono alto il dibattito sull'importanza di continuare a deprecare il nazifascismo. La prima prima è la Fondazione Memoria della Deportazione, sorta grazie all’impegno e alle donazioni dei soci di ANED - Associazione Nazionale Ex Deportati Campi Nazisti - e dei loro familiari, che promuove gli studi e la raccolta di documenti sulla deportazione nazifascista, affinché sopravviva nel tempo la memoria storica delle atrocità commesse e il ricordo di chi si oppose a rischio della vita, riaffermando con forza gli ideali perenni di libertà, di giustizia e di pace, di solidarietà e di uguaglianza, con una particolare attenzione alle nuove generazioni. La seconda è la Sezione A.N.P.I. Audrey Hepburn di Milano, nata nel 2020 ed intitolata ad un’icona intramontabile di eleganza, grazia e raffinatezza. Pochi sanno che l’indimenticabile protagonista di film di straordinario successo, quali Vacanze romane, Sabrina e Colazione da Tiffany giovanissima fu partigiana in Olanda.