14-07-2023 ore 10:42 | Cultura - Teatro
di Annamaria Carioni

'Non sugnu morto': a Cremarena lo spettacolo contro la mafia della compagnia Gagio Volontè

Nello spazio aperto di CremArena la compagnia Gagio Volonté ha presentato "Non sugnu morto" uno spettacolo intenso, impegnato ed impegnativo con l'intento di dimostrare che Paolo Borsellino è vivo e che con lui lo sono tante altre figure importanti nella storia della lotta alla mafia: Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Rocco Chinnici, Rosario Livatino, Giovanni Falcone e l'elenco sarebbe molto più lungo. Sul palco tre donne e tre uomini evocano terrore e speranza, infamia e coraggio e fanno respirare al pubblico cosa sia la mafia.

 

Lessico mafioso
La parole della mafia sono omertà, pizzo, codice d'onore, famiglia, regolamento di conti. Anche i morti ammazzati dalla mafia parlano: una foglia di fico al posto del portafoglio significa che il morto si è impadronito di soldi che non gli spettavano, gli occhi cavati e racchiusi in una mano dicono che il morto ha visto cose che non doveva vedere. Sono intimidazioni lanciate allo Stato e a chi crede nella legalità, con lo scopo di affermare la strategia del terrore e del silenzio.

 

Generazioni a confronto
Una professoressa parla in classe ai suoi allievi; è sfiduciata, sembra che a nessuno interessi ascoltare, i ragazzi sono pigri, assorbiti dagli schermi dei cellulari. Li rimprovera, chiamandoli scimuniti e con loro sembra richiamare anche il pubblico. Le fa da contraltare Paolo Borsellino, che appare in scena, reale o immaginario non importa, perché importante è il messaggio contenuto nelle sue parole: gli studenti hanno la speranza di essere dissetati, si deve credere nella possibilità di poter continuare a combattere la mafia.

 

Uomo d'onore con lode
La scena cambia e ci si ritrova catapultati in una cella, dove un pregiudicato in regime di 41 bis racconta la sua verità sulla mafia. Non serve conoscere il nome del boss perché li rappresenta tutti: afferma che il problema non è la mafia, bensì l'umanità intera, cancro del mondo, e descrive con enfasi e soddisfazione i corpi smembrati dalle stragi, il sangue versato. Anche la mafia ha la sua scuola, il suo ufficio di collocamento, la sua quotidianità.

 

Il teatro civile
Attraverso il teatro la figura di Borsellino, magistralmente interpretato da Andrea Zecchini, ci interroga e ci sprona a reagire all'indifferenza, che alimenta le mafie. Lo spettacolo diventa una serie di incontri a carte scoperte, regolamenti di conti con la memoria e con la giustizia. Il personaggio di Rita Atria, testimone di giustizia morta suicida a 17 anni dopo la strage di via D'Amelio, ci chiama in causa, ci sferza con le sue parole urlate contro l'indifferenza, contro l'omertà. Il prete che, celebrando un funerale, si arrende ad una realtà considerata normale ed immutabile, per contrasto ci ammonisce a non dimenticare, a non chiudere gli occhi. D'impatto sono le voci fuori campo di giovani, che manifestano contro la mafia e di giornalisti, che danno la notizia delle stragi.


Cosa direbbe oggi Borsellino?
"Dare voce a personaggi così grandi e celebrati ci spinge a cercare nuove risposte e nuovi slanci alle loro storie" spiega Fiorenzo Gnesi a nome della compagnia - Non ci siamo fermati ad un semplice elenco di fatti, crimini, morti ammazzati e celebrazioni altisonanti, doverose ma a volte po' sterili. Questo è un atto di resurrezione attraverso il teatro". La messa in scena dello spettacolo ha comportato tre mesi di tempo per le ricerche e per la stesura del testo da parte di Gabriel Garcia Pavesi e altri tre mesi per l'allestimento scenico e le prove. Tutti calati nel proprio personaggio gli attori, appassionati, credibili e coinvolgenti: Silvia Di Patrizi, Fiorenzo Gnesi, Annalisa Pagano, Giusy Pedrini, Andrea Zecchini e lo stesso regista Gabriel Garcia Pavesi riescono nell'intento di provocare lo spettatore, di fargli respirare l'angoscia di chi ha combattuto con coraggio gli infami a costo della vita. Si fa ritorno a casa con un senso di smarrimento e di riconoscenza e con la consapevolezza che davvero “c'è ancora assai da fare”.

1714