14-07-2014 ore 10:17 | Cultura - Libri
di Andrea Galvani

Selene Biffi, La maestra di Kabul. Il coraggio e l'incoscienza di provare a cambiare il mondo con una scuola per cantastorie

Bud nabud. Tutto inizia così: ‘bud nabud’ è la formula afghana con cui si aprono le favole; significa c’era e non c’era, in quella “commistione di realtà e leggenda che risale alla notte dei tempi”. E’ una formula ‘magica’, che non illude ma al contrario fornisce una possibilità, un sentiero da percorrere anche alle sfide in apparenza impossibili.

 

La maestra di Kabul

Il sogno di Selene Biffi, giovane cooperatrice italiana originaria di Mezzago, dotata di un grande talento per le start-up sociali, è provare a cambiare il mondo con una scuola per cantastorie. Un'avventura affascinante, avvincente, raccontata nel recente volume di Sperling&Kupfer, La maestra di Kabul, col prezioso contributo di Carlo Annese. Portatrice dei tre peggiori elementi per chi volesse vivere in Italia - “essere donna, giovane ed occuparsi di tecnologia” - dopo una prima esperienza nel 2010 seguendo l’Onu, Selene (fondatrice e presidente di Plain Ink) torna in Afghanistan sostenuta da pochi risparmi e dai finanziamenti del Rolex Awards for Enterprise.

 

La voglia di fare

In un luogo in cui la paura è sempre presente e rischia di paralizzare ogni attività, la scuola per cantastorie sembra un'idea folle in “una realtà in cui, tra inerzia, burocrazia e lassismo, il tempo sembra dilatarsi all’infinito”. Eppure, come racconta Farad Safi, i giovani hanno dalla loro l’energia, la fame e l’incoscienza per rompere lo status quo e dare avvio al cambiamento: “grazie allo studio ho imparato che anche se non hai esperienza, devi comunque dimostrare di aver voglia di fare. Non devi continuare a girarti i pollici, lamentandoti che mai niente cambierà. Muoviti, agisci e vedrai che qualcosa accadrà”". Eque dimostrare di aver voglia di fare. Non devi contin

 

Il fallimento della missione internazionale

In Afghanistan il 30% della popolazione ha accesso all'acqua potabile e meno del 10% dispone di servizi igienici adeguati. In dodici anni sono morti quasi 14 mila civili, oltre 3.400 militari di trenta Paesi, 53 della missione italiana. Sono stati spesi 100 miliardi di dollari nel settore dei servizi sociali e nel tentativo di ricostruire un'identità comune, ma secondo Selene “l'intera missione internazionale ha mancato i suoi obiettivi principali”.

 

La speranza

L'Afghanistan non è divenuto un luogo più sicuro, non esiste un sistema economico autonomo. Solo lo scorso anno 36.600 afghani hanno chiesto asilo politico in Paesi occidentali. “Per molti – scrive l'autrice – l'Afghanistan non è più una priorità”. Eppure, la scuola di cantastorie di Qessa è una piccola dimostrazione di speranza. Dei diciassette iscritti alla scuola sei riusciranno a concludere il percorso di studi, a vincere le ritrosie dei parenti e dell'ambiente, a superare le proprie fobie e ad ottenere il diploma.

 

Il coraggio e la forza delle proprie idee

Persino gli shabnamah, i fogli incollati sui muri, di notte, dai talebani, per minacciare gli oppositori, sono stati “trasformati da messaggeri di morte in vitali manifesti di creatività”. Come spiega Selene Biffi, “non sono andata a Kabul per entrare nel libro dei record degli aiuti umanitari”, probabilmente per consentire ad uno dei suoi allievi, Samim, di imparare “il coraggio e la forza di alzarmi in piedi e di parlare a chi vuole ascoltarmi, di esprimere ciò che penso senza provare più vergogna. Adesso ho fiducia in me e nelle mie capacità”.