13-06-2014 ore 10:02 | Cultura - Crema
di Raffaella Begnis

Museo civico di Crema e del Cremasco. Sezione di Arte Contemporanea, culla del territorio e dell'animo

"Qui si conserva il patrimonio storico e artistico di Crema e del circondario. Noi lo affidiamo ai giovani e alle generazioni future, perché lo incrementino, lo salvaguardino, non lo disperdano e mantengano sempre vivi i valori della cultura e l'amore per la propria terra". All'ingresso del bellissimo complesso di Sant'Agostino, a Crema, il visitatore è accolto dalle parole di Amos Edallo, fondatore con altri del Museo civico di Crema e del Cremasco.

 

Il senso di appartenenza

Scrivere del museo di Crema significa - senza retorica - parlare non solo di arte ma anche di senso di appartenenza e di affetto per il proprio territorio, sentimenti che spesso vengono meno, soprattutto quando sono scalzati da facili paragoni esterofili e giudizi estetici sulla presunta poca bellezza del paesaggio. Ecco, una visita senza pregiudizi al museo e alla sua nuova sezione di arte moderna, la SAM, inaugurata recentemente, resta una valida prescrizione al recupero degli affetti da mancato senso di appartenenza. Allo stesso tempo, scrivere di un museo oggi non è cosa semplice se lo scopo principale non è la polemica, perché, in tal caso, si tratterebbe di perpetrare un continuo evitamento, una vera e propria omissione di quanto sia ingiusta la situazione in cui versano le realtà museali locali come la nostra e come tante altre.

 

Ottime e generose menti

Luoghi meravigliosi saccheggiati delle risorse, senza addetti, lasciati spesso a quell'iniziativa privata che spesso e fortunatamente nel nostro caso è così, è fatta di ottime persone e preziose menti, generose e preparate. Persone che attingono a piene mani dal proprio tempo senza il meschino pensiero della sua monetizzazione e lo fanno con lo stesso amore che, ai tempi, ha guidato la mano di ogni artista qui esposto, tanto fortemente sentito e vissuto è l'amore per i propri luoghi, da riuscire a trasmetterlo immediatamente e senza bisogno di ridondanti interpretazioni. Il museo come ente e bene pubblico ha concesso e concede una grande possibilità a generazioni di persone, quella di arricchirsi, godere del bello, capire, conoscere, oziare. Ebbene, anche Crema ha, in questo circuito virtuoso, il suo piccolo luogo di meditazione.

 

Sala A

All'inizio del percorso si impatta subito con due corpose statue di Achille Barbaro, Atleta e Maternità. Ai lati, invece, ecco il grande aratro di Gianetto Biondini, oggetto-feticcio della ruralità che, personalmente, trovo qui di un romanticismo infinito; di fronte, gli fa da contraltare un simile, dalla stesura però più raffazzonata e dal piglio più sprezzante. Dietro la quinta qualche bel paesaggio di Carlo Martini con l'immancabile serpentina, tra gli altri, del fiume Serio.

 

Sala B

Si scende, e notevole è il contrasto con il piano superiore. La sala è più fresca e i grandi gessi di Enrico Girbafranti, l'Adultera e Susanna, sembrano rivivere di luce, protetti dallo sguardo occhialuto di Francesco Arata autoritrattosi nel 1945, posto dirimpetto allo splendido nudo di donna di Mario Chiodo Grandi, in un simpatico cortocircuito voyeristico di rimandi. E' estate, anche la natura morta con vivi peperoni, sempre di Arata, ce lo ricorda.

 

Sala C

Gli onori di casa li fa il ritratto in terracotta dello scrittore Virgilio Brocchi plasmato da Amos Edallo, ma è donna la vera padrona: Federica Galli, l'inciditrice (come amava definirla Giovanni Testori), ambasciatrice altrove del paesaggio lombardo, qui e sempre sublimato nei grandi alberi e nelle architetture rurali, reso ora eternamente affascinante, genere che con lei trova il suo lato più intimo e, talvolta, onirico. Le opere della Galli regalano un reale incremento del senso di appartenenza, per chi l'avesse perduto o fosse ancora dubbioso. E ancora, dovesse servire, gli emaciati Ostaggi cremaschi di Ugo Bacchetta, l'annoiato scorrere dell'Adda di Federico Boriani, vicino al quale di sinestesia si sente l'odore vischioso della melma d'estate alla spiaggia dei poveri, le fabbriche di Biondini, che operaio alla Ferriera lo era stato davvero, l'alienato vagone di Giuseppe Perolini, presago di tanto pendolarismo attuale.

 

Sala D

Un passo indietro nel tempo, vagando come i piccoli roditori campestri nelle scenografie acquarellate di Antonio Rovescalli, tra gli interni di Luigi Manini e i personaggi tipicamente più frivoli dell'epoca di Eugenio Giuseppe Conti, fino alle opere dei Bacchetta: Angelo, dall'autoritratto con sorriso alla Frans Hals, autografato con il titolo di professore (guardando il berretto un po' vien da ridere), il ritratto della bella Tilde firmato Azelio, dalla veletta così ben resa che quasi ci svela, più che celare, fino alla contrizione tutta femminile nella figura di donna di Tullio. E poi il lirismo dei ritratti di Camilla Marazzi, umana esecutrice di sottili indagini psicologiche, tutte rese nei profili e nei contorni screziati da segni di luce che guardano all'infinito, intimi e interiorizzati.

 

Culla del territorio

Non mancano infine ospiti prestigiosi, Gaetano Previati e Vincenzo Vela, ma anche Domenico Induno, sacri e profani tra matita e carboncino preparatori, da guardarsi a distanza ravvicinata per scoprirne il segno. Culla del territorio e dell'animo cremasco e non solo, questo Museo, speriamo che qualcuno se ne accorga.

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