12-01-2015 ore 15:01 | Cultura - Storia
di Luigi Dossena

Historia et imago Cremae. I sepolcri barbarici cremaschi dall’elmo di Agilulfo alle croci longobarde rinvenute ad Offanengo

Le premesse dei rinvenimenti le aveva anticipate il parroco archeologo di Vidolasco don Angelo Aschedamini che con fotografia alla mano mostrò punte di lancia longobarde rinvenute nel 1950 durante gli scavi per le nuove scuole comunali di Offanengo.

 

L’elmo di Agilulfo

Nel 1963 furono individuati venti (uno più uno meno) sepolcri, solo tre però vennero scavati e portati alla luce; almeno due parrebbero appartenere a principi longobardi, rinvenuti sontuosamente bardati e in arme, deposti nei sudari offanenghesi da frate Necroforo per sora Morte. Essi erano avvolti con finimenti in broccato d’oro, speroni in ferro ageminato, cinture decorate finissimamente e punteggiate nelle armature da elaborate borchie; sopra due scudi con inciso sulla piastra frontale i richiami del cosiddetto elmo di Agilulfo.

 

Gli scavi del 1963

L’area del substrato culturale di quei tre longobardi proviene dalla schiatta Merovingia, da vivi brandivano una lunga spatha con doppio taglio (uno non bastava?), essi maramaldeggiarono nelle terre cremasche a partire dalla seconda metà del VII sec. Ben quattordici secoli passarono, nel maggio del 1963, precisamente un meriggio di venerdì, dopo insistenti segnalazioni, ecco apparire sotto la lama di un badile della soprintendenza il primo umbone. Era l’araldo delle tre tombe che avrebbero fatto capolino dalla seminuda terra in località Dossello, presso Offanengo.

 

Il mistero della terza crocetta

Dopo le prime giuste e sacrosante fregole da scavo, calò il manto della sera e perciò venne posto a guardia di quel bendiddio longobardo un carabiniere che accese una lampada per avere visione dell’area e allontanare i malintenzionati. Verso mezzanotte però il graduato se ne andò e la ‘gelida manina’ di un autorevole cittadino calò fra i sepolcri, ‘accarezzò’ i reperti e colà si immerse nel mistero della terza, mai trovata, aurea crocetta laminare, oltre a borchie aurate e chissà cos’altro.

 

La valle dell’antico Serio

Parrebbe che in quei tempi langobardorum quel luogo fosse un cimitero posto sul cocuzzolo di una collinetta ai margini della valle oramai derelitta dell’antico Serio. Ebbene, fra lance, scudi, oggetti in lamina di bronzo, argentee e dorate perline, anelli, fili d’oro e serpenti incisi superbamente apparve chiaro che si era in presenza di tombe appartenenti ad una classe assai elevata, i cui richiami e le decorazioni erano afferenti oltre che all’arte longobarda anche a quella bizantina. Vennero rinvenute due crocette di lamina d’oro, ora al Museo civico di Crema.

 

La fede cristiana

Le crocette erano la cifra distintiva di quel popolo e le ottenevano ritagliando una sottile lamina d’oro, che posta su un supporto quasi sempre in cuoio veniva cucita sugli abiti. Le crocette a volte venivano lavorate, a volte no, cioè la lamina d’oro era intonsa, oppure ornata in punta di punzone e/o a sbalzo come sono le preziose crocette di Offanengo. Quando abbracciarono la religione Cristiana, i longobardi presero costumanza di acconciarsi a festa per assistere alle funzioni religiose e di applicare bene in vista sulle vesti le piccole croci poste sul petto o a piacimento sulla spalla. Quando passavano a miglior vita le disponevano o sulla fronte o in alcuni casi sulla bocca. Fonti : Insula Fulcheria Vol IV, 1963, prof Otto Prinz von Essen, Alessandro Porro, Davide Pace; Offanengo, 1982, don Angelo Aschedamini.

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