“Non sederti qui”. Nella sala del teatro San Domenico i posti sono collocati a scacchiera. Le luci sono soffuse, pronte ad illuminare il palco. Dopo tanto tempo. Troppo. Tra le file di sedie vuote si annida la consapevolezza di un teatro diverso, ma che non smette. Non vuole smettere. Non può smettere. “La pandemia ha distrutto le basi del teatro. Sto parlando di quelle poggiate sulle relazioni tra le persone. Tra gli artisti e il pubblico, ma anche tra gli organizzatori e gli artisti. Il Covid ha distrutto una comunità di persone e di progetti, relegando diverse generazioni di artisti in una situazione di estrema impotenza. Crema non si è sottratta a questo processo”. Parla piano Franco Ungaro, direttore artistico del teatro San Domenico. “Gli artisti sono corpi, ora ridimensionati nelle loro capacità espressive con un linguaggio artistico che non è più lo stesso”. Non lo sarà più. “Le mascherine sono un ostacolo all'espressività, una barriera che ai professionisti richiede uno sforzo in più. Dal palco il mestiere dell'attore consisteva nel fare a pezzi barriere tra l'io e il noi, tra noi e l'altro”. Per abbattere distanze, “arrivare direttamente agli occhi e al cuore delle persone”.
'Il teatro è necessario'
Ora il paradigma è cambiato. “Quando sono tornato sul palco ho avvertito un certo spaesamento. Perché uno pensa possa tornare tutto come prima e poi si accorge che non è così. Che qualcosa nella vita è cambiato, che le persone sono cambiate”. Emerge forte “la difficoltà delle persone a percepire la necessità di tornare a teatro”. E allora il teatro deve ripartire da qui: “in un contesto in cui sono venute meno le basi della coesione sociale, il teatro diventerà sempre più necessario, sempre più opportuno rivelando, visto l'aumento della povertà educativa, tutta la sua valenza, soprattutto per i più giovani”.
Costruire comunità
Per questo la stagione teatrale cremasca ha parlato anzitutto ai bambini. “Sono convinto – continua Ongaro – che si debba ricostruire fiducia. La devono coltivare gli artisti verso il pubblico ed il pubblico deve poterla riscoprire. Da luglio ad ottobre la proposta è volta a ricostruire la fiducia che ci lega con una serie di esercitazioni all'ascolto, alla visione , alla rigenerazione di un tessuto comunitario”. Di quella comunità che fa il teatro, lo vive, ne coltiva pezzi nella quotidianità. “Di quelle persone che si ritrovano dentro il teatro, con il teatro e con gli artisti per capire il mondo che ci attraversa e che ci circonda”. Il teatro oggi “deve essere agorà. Come prima. Più di prima”. E domani sarà “più consapevole delle contraddizioni che tutti noi viviamo in questa società. Di come cambia la nostra vita ed il mondo attorno a noi”.
Parlare a tutti
Quello di domani dovrà essere un teatro aperto, capace di non lasciare indietro nessuno. “Di parlare a tutti, con un linguaggio che include altri linguaggi: dalla musica, alla danza, passando per le luci, le immagini. Il teatro è un linguaggio multidisciplinare, interdisciplinare. O almeno, io lo concepisco così”. Lo si vede dalla programmazione: “sabato 2 luglio a Ripalta Cremasca ci sarà la Banda Osiris (posto unico 10 euro), fino ad ottobre verranno proposti spettacoli già programmati, come Così parlò Bellavista con Marisa Laurito o l'appuntamento con gli Oblivion”. Poi ci si preparerà per novembre: “la stagione è ancora in fase di stesura, perché non si comprende con esattezza come si potrà portare avanti l'attività viste le restrizioni: certo sarà un cartellone ricco di danza, prosa, musica”.
Raccontare la verità
Per tornare a rivivere il teatro e non avvertire più il silenzio. Ed il buio. “Forse – spiega Ungaro – mi hanno fatto capire cosa è davvero importante nella vita. Prima certi sguardi erano scontati. Ora penso che sul palco, nella vita e nelle relazioni ci sia bisogno di più verità. Di più autenticità”. Di chi non ha paura di leggere i cambiamenti e di raccontarli. Di viverli. Per riscoprirsi insieme in una sala ad emozionarsi. A sentirsi, di nuovo, vivi. Di emozioni, relazioni ed incontri, è pieno anche l'ultimo libro di Franco Ungaro, dal titolo A est del palcoscenico edito da Kurumuny, “racconta i miei viaggi nei teatri del mondo dal 1982 al 2020”, lo fa valorizzando i legami e le persone. Quelli che hanno fatto la differenza e che continueranno a farla. Uno spettacolo per volta, oltre la paura.