All’una di notte tra il 28 e 29 settembre del 1697, tra sabato e domenica, Teofilo Benèlo, 37 anni di Passarera Corta, venditore di caldarroste nei pressi di porta Zena, era presente col suo baracchino e non dormiva, stava armeggiando attorno ai suoi averi. Un po’ come tutti in quei frangenti, stava preparando la fiera. All’improvviso nella bottega di un cappellaio, Battista Catanio da Campagnola Cremasca, che aggiustava i cappelli col fuoco, partì una vampata e subito prese fuoco la bottega, sua e quelle degli altri attorno.
Animali e persone in fuga
Racconta Teofilo: “nonostante il prodigarsi suo, mio e di molti altri sventurati, il fuoco si propagò in maniera tale che in circa un’ora o poco più, tutto si incenerì, botèghe et merci con gli animali in fuga a rotta di collo”. Solo due o tre fortunati salvarono i loro beni dal fuoco, anche perché tutto era costruito col legno di pighèra.
Il giudice del maleficio
Anche prima Crema aveva la sua fiera: ne abbiamo notizie già dall’inizio del ‘400. Eppure, ora avviene il salto di qualità. Veniva chiamata Fiera di San Michele Arcangelo e durava 8 giorni. A volerla furono i cremaschi, a ratificarla fu il doge di Venezia, Francesco Foscari nel 1450. Fu istituita un’autorità suprema, chiamata il giudice del maleficio e la fiera effettiva prese avvio dal 1451.
Tra via Cadorna e via Cremona
Il luogo prescelto per la fiera fu subito appresso il ponte in legno, costruito per guadare il fiume Serio nella zona compresa tra via Cadorna e via Cremona. Già nel 1485 la fiera era fiorente e attirava torme di furbacchioni; i cremaschi elessero un supervisore, Michele Albergoni, per 10 soldi al giorno. Alla fiera di Crema c’era di tutto e gli ambulanti venivano da tutta Europa: boteghe, recinti, mercati, banchi, banchetti, banconi e padiglioni; librai, dazieri, bolatori, archibugieri, spadari, calzolai, cappellieri, indovini, saltimbanchi, imbonitori e ciarlatani.