09-11-2014 ore 12:02 | Cultura - Incontri
di Andrea Galvani

I Manifesti di Crema. Centinaia di persone al teatro San Domenico per Francesco Guccini

“Anche le canzoni possono essere storie da raccontare”. Il teatro San Domenico, per la serata conclusiva de I Manifesti di Crema, ha accolto Francesco Guccini come una di quelle persone che si conoscono da sempre, che si vedono poco (mancava da Crema dal 1982, dal concerto a Santa Maria) ma che quando le incontri di nuovo si riprende il filo del discorso esattamente da dove lo avevi lasciato. Giovani o meno giovani, ognuno col proprio personale rapporto col maestro, col Guccio, con Francesco.

 

Classe e dolcezza

Arrivato in città nel pomeriggio, s'è offerto con la consueta classe e dolcezza al rito delle foto ricordo, degli autografi, dell'ascolto del perché è tanto importante per la propria vita e quali suggestioni hanno offerto o quali eventi hanno scandito le sue canzoni. Durante la serata – incalzato da Stefano Magagnoli - ha ricordato che la fama è piacevole, ma che si trova sempre più spesso a desiderare che i suoi fan facciano come lui a Rio de Janiero, quando restò ad osservare in disparte un suo mito d'infanzia, Jerry Mulligan, a goderselo da lontano.

 

Le cose perdute

Con quella sua parlata inconfondibile, la sua erre rotonda e la musicalità dell'accento emiliano, ha parlato delle illusioni giovanili, dell'enigmatico autografo del Carducci sotto la panca, del pollo arrosto al fiume e dei vegani, del magico tarocchino modenese e dei maudits, i poeti maledetti, prima dell'avversione per la tecnologia e dei due dizionari delle cose perdute: una su tutte il telefono col duplex e l'unico caso in cui era consentita un'interurbana.

 

Francesco Guccini intervistato da Stefano Magagnoli (foto © Angelo Peia)

 

All'epoca in cui

Davanti ad una platea incantata, che sarebbe restata ad ascoltarlo per ore, ha raccontato dell'epoca in cui la migrazione aveva per protagonisti gli italiani, i montanari ed i taglialegna; gente che andava in giro per l'Italia ed il mondo a spaccarsi la schiena e cercare denaro per sfamare chi restava a casa. Altro che la pretesa odierna del mondo globale, quella di allora era la povertà delle montagne - “quanto poco offrivano” - e l'ansia del suo primo viaggio, a 22 anni, in Svizzera, “a rendersi conto che le cassette delle lettere eran gialle, mica rosse come le nostre. Tanto per dire quali erano le cose che si stava a guardare allora”.

 

Bisogna saper smettere

Francesco Guccini, poeta, scrittore, cantautore, ha raccontato di quando scriveva la letterina di natale, “una delle cose più turpi che l'umanità abbia mai fatto”, terrorizzato che potesse cadere una goccia d'inchiostro. Ha raccontato dei tortellini che si mangiavano solo il 25 dicembre “e chissà come, erano davvero più buoni”, della noia e del divertimento di fare l'attore. Ha spiegato del “contratto di tre dischi quando capita” e della montagna di soldi per “farne cinque in cinque anni”; poi del perché ha smesso di cantare, “della fatica di stare in piedi 2 ore e mezza, della morte del mio manager” e soprattutto del fatto che “a un certo punto bisogna saper smettere e saperlo fare in un momento positivo”.

 

Le cose cambiano

Quindi, un'ora e mezzo dopo, ha ringraziato per la pazienza e ha salutato tutti. Tornerà a Pavana, dove decine di persone continuano ogni giorno ad andarlo a trovare, a chiedergli una foto, un autografo, un saluto; ha poi strappato la centesima risata della sera, dicendo: “spero ora che col brutto tempo questa pratica rallenti”. Uscendo dal San Domenico, ha incontrato gli occhi lucidi e la felicità delle persone che hanno trascorso una piacevole e tanto insolita serata con lui, stavolta seduto a parlare, senza una chitarra e un fiasco di vino: “le cose cambiano, faccio una vita tranquilla, non vado nemmeno più fuori tutte le sere”. Già. È la verità: “Nell'aria stanca della sera c'è un'illusione che par vera, si son perduti anche i rumori in forme vaghe di colori”.

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