Carlo Goldoni dunque, giunto a Crema presso Porta Ombriano, incontrò il sargentone che sbirciando il documento lasciapassare diede via libera ai veneziani. Per la verità il sargentone era leggermente analfabeta e svolto il suo compito si ritirò tosto nella sua casuccia, continuando a fumare di gusto la sua pipaccia.
L'ingresso a Porta Ombriano
Fu quindi così che la “sedia da posta” , ovvero la carrozza, il carrozzone, entrò in Crema imboccando via XX Settembre; passò innanzi alla chiesa di Santa Trinita e poi su fino alla fine della contrada di Porta Ombriano (così era chiamata via XX Settembre). L’ambasciatore veneto e i suoi sottoposto, Goldoni compreso, varcarono quindi l’arco del Torrazzo ove troneggiava il magnifico lione in marmore e piegarono a sinistra fermandosi a mezza distanza tra il Duomo e il palazzo comunale.
Lavoro di segreteria
L’ambasciatore Orazio Bartolini era il segretario del Senato di Venezia, già vice Bàilo della Repubblica a Costantinopoli, perciò un nobile, ricchissimo di denari e di reputazione. Era residente a Milano, ma, avendo gli austriaci assalito e conquistato il castello sforzesco, che a sua volta era già minacciato dalle legioni di Francia e di Sardegna, pensò bene di darsela a gambe, puntando sulla più sicura città di Crema, ben protetta dalle fortificazioni veneziane. Tutt’intorno al territorio cremasco mulinavano i venti di guerra; la mansione dell’ambasciatore, estesa al suo segretario personale Carlo Goldoni, era ben precisa: doveva leggere ogni giorno quindici, venti lettere che giungevano a sua eccellenza Bartolini da Milano, Torino, Brescia e trarne la sintesi, indi compilare dispacci con relazione e inviarli a Venezia. Il Senato veneziano s’era posto in posizione neutrale fra i belligeranti e voleva conservare buoni rapporti con tutte le corti europee.
Le notte brave
Torniamo al nostro Goldoni e alle sue faccende in città. Egli scriveva, copiava, leggeva e rileggeva dispacci, missive e relazioni anche sino alle tre di notte, era quasi una consuetudine per lui. Un’altra consuetudine, finito il travaglio, anziché andare a dormire in un buon letto caldo di scaldino, era chiudere lo studiolo e vestirsi di buon punto. Una spazzolata al giubbone, una rassettata al cannone de’ ricci con una voluttuosa spruzzata della solita polvere di Cipro (cipria) sul toupè e, stirandosi ambedue i manicotti con un fugace sguardo nello specchio, infilava la porta giù di corsa nella buia notte fino alla locanda del Cervo. Qui un’allegra brigata cremasca era riunita intorno alla tavolata lautamente imbandita con de’ eccellenti vini, di que’ vini salsi e picanti che brillano diafani nel bocale, di quello insomma che suol fornire l’ubertoso territorio cremasco.
Quattro cremaschi e una donzelletta….
Quattro cremaschi e una donzelletta aspettavano Carletto e avevano impegnato il tempo dell’attesa con una partita di faraone (uno dei tanti giuochi di carte di cui era afflitto Goldoni). Appena egli fece capolino nella sala, il gioco venne interrotto e con sussiego e all’unisono si invitò l’ospite veneziano a sedersi accanto alla damigella ed il buon Carlo, dopo aver mangiato – per quattro – si unì all’allegra brigata nel gioco. La fortuna gli arrise; di fatto, la notte si protrasse fino alle undici di mattina. Ad un certo punto, l’avvocato Goldoni, come morso da una tarantola, ruppe l’afasia da sonno e da fumi, salutò di corsa i suoi sodali e per la porta della locanda corse verso la sua dimora.
Accuse di spionaggio
Appena fu all’incrocio, il suo palafreniere gli si parò davanti disperato e gli annunciò di recarsi immediatamente dal serenissimo ambasciatore, rimarcando che era dall’albeggiare che lo faceva ricercare, sapendo che non aveva dormito nel suo letto. L’ambasciatore era a dir poco fuori dalla grazia di Dio. Goldoni si presentò sfatto davanti al magistrato suo paròn con i suoi quaderni fra le mani, pensando che, mostrando il lavoro eseguito, nonostante la notte licenziosa, avrebbe schivato la buriana. Nient’affatto rabbonato, Orazio Bartolini l’ambasciator, lo investì con una gragnuola di improperi e gli sibilò che durante la notte egli si era venduto all’altro provveditore veneto (N. H. Antonio Loredan?). Perciò il malcapitato Goldoni si trovò “servo di due padroni” praticamente un invertebrato venduto. Di più, l’ambasciatore aveva le prove che Goldoni aveva spiattellato come una miserabile spia al Loredan proveditor il manifesto del re di Sardegna, quindi l’altro controllore serenissimo in Crema avrebbe già inviato al Serenissimo Senato e per conoscenza al doge di Venezia i fatti e gli antefatti che si stavano sviluppando sulla scacchiera delle corti d’Europa, pigliandosi i meriti.
Buttata via la toga
Goldoni replicò secco che non era vero niente. Indignato girò i tacchi e fuggì giù per le scale. Giunto in strada vide il portone del vescovado e si presentò innanzi al vescovo di Crema, il bresciano Ludovico Calini. D’un fiato gli raccontò la sua sventura, il vescovo, ascoltatolo, lo rassicurò e gli fece sapere che avrebbe interceduto presso Bartolini. Tuttavia, man mano che passava il tempo e a mente sempre più fredda, nonostante l’appoggio conclamato del vescovo, Goldoni colpito ed offeso nell’amor proprio, trasse le sue conclusioni. Nonostante l’ambasciatore Bartolini venisse informato compuntamente della notte brava del suo segretario, sgombrando le ombre del tradimento, Carlo Goldoni maturò nell’arco dei tre giorni di buttare alle ortiche la toga: era tempo di cambiare lavoro. Salì perciò per l’ultimo saluto dal suo paròn, lo ringraziò, gli baciò la mano e con gran classe pigliò commiato.
La partenza verso Modena
Avendo predisposto il da farsi, raggiunse un ragazzotto che lo aspettava con un bauletto sulle spalle presso il corpo di guardia, quindi prese vicolo Forte, e, imboccata via Civerchi, arrivò nei pressi dell’ostaria chiamata Chiodèra, colà era pronta una carrozza con attaccato uno spelacchiato ronzino, più morto che vivo e che a fatica il vettorino cercava di attizzare. Anche il vettorino galleggiava a vista, essendo più che mezzo ubriaco. Fu così che Goldoni salì in carrozza e lasciò Crema varcando il ponte del castello di Porta Serio e si avviò verso l’Emilia, precisamente a Modena ove l’aspettava sua madre. Era il 27 giugno 1733.
Fonte: Goldoni a Crema, Ferdinando Meneghezzi – estratto dalla Gazzetta Provinciale di Lodi e Crema 1855.