“L'attore Carlos non esiste, c'è solo Carlos”. Al Cuore di Crema, comunità riabilitativa per la cura di persone con dipendenze, si stanno scaldando i motori per Sotto il telo, verità, la performance conclusiva del percorso esperienziale di teatroterapia condotto da Rossella Fasano. L'appuntamento è fissato per domenica 10 ottobre alle ore 20.30 al teatro Galileo Galilei di Romanengo. Ingresso con green pass. Per info e prenotazioni 0373257107. “La data si avvicina ed io – continua Carlos accanto ai suoi compagni d'avventura – ho paura di sbagliare. Ho paura del giudizio degli altri. Sono sempre stato un perfettino: mi è sempre piaciuto avere tutto sotto controllo. In più mi arrabbiavo spesso”. Parla al passato: “la teatroterapia mi ha aiutato a parlare con le persone in modo diverso, più pacato. L'obiettivo domenica è raccontarmi per ciò che sono”. Senza maschere. “Non voglio più nascondermi”.
Rallentare
Il tempo scorre. L'occasione di svelarsi, di scoprire paure, limiti, gioie, si avvicina. “Sul palco voglio liberarmi di tutto ciò che ho dentro”. Sorride forte, Carlos. L'ansia da prestazione fa parte del gioco, “ma tu – gli fa l'occhiolino la Fasano – devi avere paura solo del mio giudizio”. Del giudizio di chi tutti i giorni da circa un anno lo guida. “Gli spettatori sono spugne. Non subiscono lo spettacolo come un qualcosa di lontano, di estraneo, di distante. Sono partecipi, possono cogliere dalla performance degli spunti”. Per riflettere, interrogarsi, migliorare. Essere. “È la magia del teatro: quella che, oltre una quotidianità sempre troppo celere, obbliga a rallentare, ad osservare il mondo e se stessi, a prendere consapevolezza dei gesti, degli sguardi”.
Oltre la maschera
Carlos la respira da un po'. Con lui Emanuele, Luca e Floriano. Il presupposto è pressoché unanime: “all'inizio eravamo scettici”. Un anno fa non si immaginavano su un palco a raccontarsi dietro ad un telo. A scoprire la loro verità. “Sono entrato qui per un serio problema di alcolismo” confida Emanuele “Usavo una maschera, non guardavo i miei limiti e non ero sincero con me stesso. Questo percorso mi ha aiutato a scoprirmi. Non mi ero mai guardato così dentro, prima”. La consapevolezza si impara. Meglio, si costruisce. “Ora so che ai problemi bisogna reagire. Bisogna essere consapevole del male che fa una dipendenza. Senza una sostanza sei davvero consapevole del corpo, dell'esterno”. Lo senti, lo avverti. Lo vivi. E anche il mondo ha un valore diverso. “Ora capisco che pure le critiche servono”. Ad andare avanti. A cambiare. Come Luca che tra un incontro e l'altro ha smesso di stare nell'ombra. “Non ho mai amato i riflettori, ho sempre preferito restare nascosto”. Dietro ad un telo. “Ma questo telo prima o poi cadrà”. In un momento non troppo lontano.
Un punto fermo
Non si sbottonano circa il grande appuntamento di domenica. “Mica possiamo spoilerare tutto”. Per tutti la certezza è una sola: non è una fine, ma un punto fermo nel percorso di ciascuno. “Una transizione necessaria da una consapevolezza a un'altra, da uno stato d'animo all'altro, da quello che ciascuno ha capito di sé oggi a quello che capirà domani” continua Fasano. La ricerca è continua. “È un lavoro in divenire”. I mesi passati si raccontano tra la paura dell'emergenza sanitaria, i momenti di training, di conoscenza, di scoperta di percezioni sensoriali in mezzo al bosco. “Non c'è solo lo spettacolo, ci sono persone da conoscere. E le persone sono storie di gioia e dolore, paura e tenacia. Sensazioni cui bisogna dare un nome per evitare che logorino. Il teatro insegna ad essere autentici, a buttare le maschere che indossiamo, ad essere noi stessi o meglio a prenderci la responsabilità di guardarci per come siamo, limiti compresi. E con lo stesso coraggio decidere di cambiare”.
La ricerca di autenticità
La teatroterapia, ispirandosi alla metodologia di Jerzy Grotowsky, pone al centro l'attore, protagonista e destinatario della performance, mettendo insieme varie arti: dal canto alla danza, passando per il mimo e lo yoga. “Proponiamo un teatro povero, ricco di luce, di simbologia, di voci, di unione con il sentire, di arti che possano aiutare le persone a scoprire il talento oltre al dolore”. La teatroterapia si basa sul cosiddetto paradosso del teatro: la finzione deve essere autentica. “Se il protagonista non attinge al suo vissuto, non arriva al pubblico”. Se non si mette in gioco, se si comprime, non si svela. “Fare un percorso di teatroterapia significa soprattutto raccontarsi, avendo abbattuto le sovrastrutture delle quotidianità”.
Lavorare con le emozioni
Il punto di forza è il gruppo: “il lavoro collettivo consente di analizzare e lavorare sull'intero repertorio emotivo dell'essere umano”. Dal dolore alla gioia, dalla rabbia al timore, dalla preoccupazione alla fiducia: “io – ammette candidamente Floriano – non so cosa aspettarmi da tutto questo, ma mi fido dei professionisti. Sul palco sarò libero di esprimermi”. Le listarelle da pitturare sui cavalletti sono ancora lì. Da circa un'ora. “Domenica, ciascuno di loro si svelerà” conclude Fasano. “Lo farò e sarò più sereno” promette Emanuele. “Ho capito che ciò che nascondevo agli altri dovevo in realtà capirlo io”.